La ricetta di Rivera: «Necessario investire su cultura e allenatori»

GRADISCA. Fantasisti si nasce. E, soprattutto, lo si rimane per sempre. Gianni Rivera a Gradisca si è presentato così, rompendo il protocollo come in campo era abituato a rompere l’equilibro con un’im...
Bumbaca Gorizia 15.04.2013 Gradisca pres Torneo Rocco - Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 15.04.2013 Gradisca pres Torneo Rocco - Fotografia di Pierluigi Bumbaca

GRADISCA. Fantasisti si nasce. E, soprattutto, lo si rimane per sempre. Gianni Rivera a Gradisca si è presentato così, rompendo il protocollo come in campo era abituato a rompere l’equilibro con un’improvvisazione delle sue.

Giunto al Nuovo Teatro Comunale in ritardo per i suoi impegni istituzionali (è il responsabile del Settore giovanile e scolastico Figc) il Golden Boy è salito direttamente sul palco, senza tante cerimonie, proprio mentre stava venendo premiato Cesare Prandelli. Molto caloroso l’abbraccio fra i due. Stima sincera per l’uomo e per il tecnico, ma soprattutto simbiosi totale sulla ricetta per salvare il nostro calcio: «Il talento va dapprima riconosciuto e poi difeso – afferma Rivera – ma se ciò è scontato per ogni campo della vita, è anche vero che in Italia con il calcio facciamo più fatica a farlo. Prima o poi qualcuno si deciderà a comprendere che bisogna lavorare su questo». Per l’ex “abatino” di breriana memoria, «i problemi del nostro calcio sono più finanziari che tecnici. E questo non significa che i soldi non ci siano, ma solo che sono spesi male. Il calcio è diventato un business – riflette Rivera con i ragazzi di Gradisca - e allora perché non investe nella ricerca e nella formazione come qualunque altra azienda?» E snocciola la sua ricetta: «Oltre che sui ragazzi e sulle strutture, bisognerebbe investire su altri due fattori. Il primo è la cultura sportiva, perché i genitori dovrebbero vivere con più serenità l’esperienza agonistica del figlio, senza esasperarlo con attese e speranze. E ancor di più bisogna investire sulle strutture e sugli allenatori. Che io preferirei si chiamassero maestri, educatori - confida - perché quando hai a che fare con degli adolescenti ci sono anche altri aspetti che non possono finire in secondo piano, come la scuola e la formazione caratteriale». (l.m.)

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