L’atletica russa bandita dalle Olimpiadi di Rio

ROMA. L'atletica leggera russa dice addio ai Giochi di Rio de Janeiro ma è tutto lo sport russo a vederli più lontani.
Il Comitato olimpico internazionale si pronuncerà domenica sull'esclusione, in base alle conclusioni del rapporto presentato lunedì scorso dall'Agenzia mondiale antidoping. Era però attesa, e peserà moltissimo, la sentenza del Tas che ha respinto il ricorso di 68 atleti, compresa l'olimpionica dell'asta Yelena Isinbayeva. Si opponevano all'esclusione dell'intera squadra sancita dalla Iaaf.
«Adesso tutti questi sportivi stranieri pseudo-puliti possono tirare un sospiro di sollievo e vincere le loro pseudo-medaglie d'oro in nostra assenza» è stato il duro commento della campionessa. La decisione (inappellabile) costituisce inoltre un precedente che consentirà al Cio di estendere il bando dai Giochi in Brasile di tutto lo sport russo evitando ulteriori ricorsi al Tas. «La studieremo ed analizzeremo» ha fatto sapere il Cio. A Rio - sotto la bandiera con i 5 cerchi - parteciperanno solo due atlete «indipendenti»: la saltatrice Darya Klishina, che da tre anni vive e si allena in Florida e si sottopone all'antidoping Usa, e la mezzofondista Yulia Stepanova, «pentita» che ha collaborato all'inchiesta (però è infortunata e quindi in forse).
La messa al bando globale dell'atletica russa era stata decisa lo scorso 13 novembre dalla Federazione internazionale di atletica leggera che aveva sospeso la Federazione russa dopo le accuse di “doping di Stato”. Decisione confermata nei due successivi appelli presentati dalla Russia. I 68 - sostenendo di esser stati puniti nonostante non fossero stati trovati positivi ai test - chiedevano di andare a Rio sulla base del principio della responsabilità soggettiva, che non ha trovato riscontro presso i giudici del Tas. Rinviando le motivazioni della sentenza, il Tribunale di arbitrato dello sport ha sottolineato che gli atleti «non sono eleggibili» perché gareggiano sotto le regole Iaaf che escludono l'intera federazione; «qualora alcuni dimostrassero di rispettare in pieno i criteri stabiliti dalla Iaaf, il Cio dovrebbe ammetterli» sotto bandiera neutra (sono i casi di Klishina e Stepanova). «Ma i tempi per seguire questa strada sono molto stretti», ha precisato il Tas.
«Il tema della responsabilità collettiva - ha dichiarato il portavoce del presidente Putin, Dmitri Peskov - dal nostro punto di vista difficilmente può essere accettabile. Si tratta di atleti che si stavano preparando alle Olimpiadi che non hanno a che fare con il doping, i loro test venivano prelevati regolarmente dalle agenzie antidoping straniere».
Nel frattempo Darya Klishina è inevitabilmente finita sotto i riflettori. Bionda, magra, bellissima, occhi chiari, un fisico statuario e regina dei social (su Instagram ha ben 75mila followers), Darya è a un passo dal coronare il sogno (manca il via libera del Cio). Ma quando il 10 luglio ha scritto un post su Fb per ringraziare la Iaaf per averla ammessa ai Giochi come atleta indipendente, non pensava certo che le sarebbe piovuto addosso anche il marchio di traditrice, di “nemica del popolo”, addirittura paragonata a una “nazista”, anche per il fatto di allenarsi da ormai tre anni lontano dalla patria, in Florida. Le critiche non l'hanno toccata più di tanto e anzichè dribblarle ha preferito sempre rispondere via social, auspicando che «tutti gli atleti russi possano riuscire a gareggiare a Rio. E vorrei far notare che non sono andata a vivere e allenarmi in Usa un mese fa, ma tre anni fa. Quindi io non sono una nazista né tanto meno una traditrice».
Campionessa europea indoor di salto in lungo per ben due volte, oro alle Universiadi 2013 a Kazan e bronzo europeo, la biondissima Darya non voleva insomma perdere le sue chance olimpiche. Andrà a Rio senza però vestire i colori del suo Paese, alla faccia della solidarietà di Patria e alle critiche perfino del presidente Putin a cui probabilmente è andato di traverso non tanto il fatto di aver deciso di gareggiare senza il tricolore, quanto quello di esserci riuscita perché residente negli Stati Uniti. Qualcosa di difficilmente perdonabile nella nuova Russia di oggi.
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