Le tribune “fai da te”

di Mauro Corno
Una volta a rischiare a Monza non erano solo i piloti. Ma anche gli spettatori. Quelli che per vedere sfrecciare le monoposto da una posizione privilegiata si arrampicavano sugli alberi, confidando nella solidità dei rami apparentemente più robusti, e si avvinghiavano ai cartelli pubblicitari, sperando che i bulloni non si spezzassero. Oppure quelli che si sedevano sulle reti mettendo a repentaglio il proprio fondoschiena: se restavi impigliato nelle maglie metalliche, tra l’altro sovente arrugginite, la lacerazione della natica era pressoché sicura.
È sufficiente guardare qualche foto d’epoca per comprendere come questa gente sfidasse le leggi di gravità pur di applaudire il Clay Regazzoni o il Carlos Reutemann di turno. E di come una caduta da qualche metro di altezza sarebbe potuta essere fatale.
Una grande “organizzazione”. I più temerari e organizzati, però, iniziavano ad agire già nel mese di agosto. Il fenomeno, iniziato alla fine degli anni Settanta e conclusosi alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, faceva infuriare i costruttori edili impegnati nelle zone non lontane dal “Polmone della Brianza”, così come viene definito il Parco che ospita l’autodromo, e creava grossi grattacapi alle forze dell’ordine. Di notte, gruppi di ragazzi dei paesi del circondario facevano visita ai cantieri e prendevano in prestito – ovviamente tralasciando di chiedere il permesso – le assi di legno e le strutture di ferro che sarebbero poi diventate delle autentiche tribunette in occasione del Gran premio.
I ponteggi rubati alla Chiesa. Leggenda narra che un nucleo di spregiudicati giovani della vicina Villasanta, intorno al 1990, a bordo di un furgone di proprietà oratoriana sottratto con l’inganno a un coadiutore, andò addirittura a prelevare i ponteggi posizionati presso una chiesa in fase di ristrutturazione nella confinante Arcore gettando nello sconforto i fedeli e, nel contempo, dando il “la” a invocazioni del tutto singolari da parte dei proprietari del materiale edile, alcuni muratori della Bergamasca. La refurtiva veniva poi nascosta all’interno del Parco stesso, di solito a un paio di centinaia di metri dalla variante Ascari, legata a qualche pianta con catene dotate di lucchetto, o addirittura seppellita in buche spesso larghe qualche metro e profonde decine di centimetri.
Strategia anti-controlli. Lì rimaneva fino al giorno della gara: posizionarla già al venerdì o al sabato, quando i motori cominciavano a rombare per le prove, sarebbe costato il sequestro da parte dei militari dispiegati all’interno del circuito. La domenica, all’alba, cominciava il trasporto, questa volta a mano, che coinvolgeva anche quaranta-cinquanta persone. Al mattino, intorno alle undici, tutti si improvvisavano assemblatori: era quello il momento in cui nessuno avrebbe potuto fermare la costruzione, le macchine erano appena rientrate ai box dopo il warm-up e il conto alla rovescia verso il semaforo verde era già ampiamente cominciato.
Affari in barba ad Ecclestone. Sulle impalcature, messe una a fianco dell’altra, potevano sedere anche 100-120 persone. Per gli amici e per le belle ragazze c’era sempre spazio, gratuitamente. Agli altri veniva chiesto un contributo in denaro: i minuti che precedevano la partenza della corsa erano teatro di incredibili mercanteggiamenti, si accettava qualsiasi tipo di valuta, con particolare attenzione verso i tifosi tedeschi, pronti anche a mettere sul piatto un centinaio di marchi (35 euro di oggi, all’incirca) pur di guadagnarsi un posto in “tribuna”. Non c’era la moneta comune europea e non c’era neanche Bernie Ecclestone: sarebbe stato lui a delimitare le aree da cui potere assistere ai Gran premi, stroncando così la fantasiosa “concorrenza” indigena.
La vicenda legata al nome di Wolfgang von Trips e al circuito brianzolo non può infine non essere ricordata: la sua Ferrari, il 10 settembre del 1961, alla staccata della curva Parabolica entrò in collisione con la Lotus di Jim Clark e decollò andando a finire sul pubblico assiepato dietro alle reti. Morirono in quindici, pilota tedesco compreso. Ma è tutta un’altra storia. Tristissima e così lontana da quella delle “tribunette alternative”.
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