Lutto nel calcio triestino: morto Bruno Rocco, figlio del Paròn
L’addio al figlio maggiore del paròn Nereo Rocco a 85 anni. Trieste perde un uomo stimato da tutti e un pezzo di storia tra Milan e Unione

«Ciao Brunetto, te son sempre come un giovinoto». Lui alzava la mano destra verso il volto con quel gesto scaramantico sconosciuto ai giovani. «Tocandose el naso, go oltre 80 e me la cavo ben» rispondeva con un sorriso. E invece il male è arrivato, improvviso come spesso accade, e si è portato via Bruno Rocco poco oltre la soglia degli 85 anni.
Era un uomo di poche parole ma sensibile e di cuore. Brunetto o Bruce come lo chiamavano i più intimi ha vissuto una vita intensa con l’etichetta del figlio del paròn, forse a tratti ingombrante ma anche motivo d’orgoglio.
Lo stesso orgoglio che esprimeva sempre per la sua famiglia. La moglie Loredana, le figlie Donatella e Michela, i nipoti (da poco era diventato anche bisnonno, un privilegio di questi tempi). Un legame forte, anche con mamma Maria e papà Nereo, incardinato nella mitica casa di via D’Angeli. Una dimora, che ha accolto il calcio italiano degli anni ’60-’70, e che lo ha abbracciato fino a pochi giorni fa. Pur essendo nato a Napoli, perché lì giocava Nereo nel ’35, via D’Angeli è stata la sua culla assieme al fratello Tito.

Diversi nel carattere e nell’interpretazione della vita ma inseparabili, soprattutto quando si trattava di calcio. Bruno era stato anche un buon giocatore fino alla serie B, ma poi aveva continuato a esibirsi come il fratello nei tornei amatoriali. Era stato Nereo, uomo pragmatico di un altro secolo, a disincentivare il figlio a proseguire la vita da “baloner”. “Basta un nel calcio, dovemo mandar avanti la macelleria” aveva detto el paròn a quel ragazzo poco più che ventenne. E lui si prese sulle spalle la missione affidata dal papà.
Dove c’era la macelleria, dopo decenni di abbandono, c’è un luogo di aggregazione ma l’insegna storica è rimasta perché quel posto per i triestini resterà sempre la macelleria Rocco, con Tito spesso nei paraggi a vigilare su quel bene morale che resta un’icona di famiglia.
Alle partite della Triestina i due fratelli erano sempre l’uno a fianco all’altro in tribuna. Anche con l’alabarda c’è sempre stato un rapporto speciale, di famiglia.
Tito nell’epoca Fantinel aveva svolto il ruolo di team manager, Bruno aveva fatto lo stesso nel 2012 con la Triestina in Eccellenza. Sui campi dei dilettanti, da Gemona e Corno di Rosazzo, non si faceva certo pregare per portare le borracce. A dispensare consigli non ci pensava proprio, li dava solo a chi insisteva.

Perché lui era fatto così, una persona seria e genuina che sapeva bene cos’era il rispetto per i ruoli. Quei ragazzi in campo potevano essere i suoi nipoti. Il calcio era nel suo dna ma non quello fatto di chiacchiere. Da ultrasettantenne per un periodo si mise anche a insegnare il calcio ai pulcini dell’Unione, sul campetto di Soncini incurante della pioggia o della bora.
«Xe stada una delle robe più bele che go fato» ti ripeteva quando lo incontravi in quel periodo. Bruno e Tito hanno vissuto l’epopea del padre prima al Padova e soprattutto negli anni successivi al Milan. L’hanno vissuta stringendo amicizie con i calciatori di Nereo che erano loro coetanei da Rivera a Prati, da Cudicini a Benetti. La Triestina è sempre stata nel cuore.
Dalla Coppa dei Campioni a San Siro si spostavano a Trieste in coppia sui gradoni del Grezar e poi sulle poltroncine al Rocco per vivere le partite dell’Unione in B, in C, in D e così è stato fino allo spareggio salvezza del 17 maggio con il Caldiero con l’amico Tesser in panchina. Sempre insieme a soffrire per le vicissitudini di una Triestina dalle maglie e dall’anima sempre più sbiadita. Quella sedia vuota vicino a Tito parlerà più delle parole. «Mi sento ancora con Cudicini e Schnellinger ma il mio pensiero va sempre alle mogli dei tanti amici che non ci sono più» aveva confidato in un’intervista di due anni fa prima di un Triestina-Padova.
Il ragno nero e il tedesco hanno lasciato questo mondo. Ora anche Brunetto se n’è andato. Il nostro pensiero va ai parenti e agli amici che lo piangono. Come ci ha insegnato Bruno. Grazie di cuore.
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