Morto Ghiggia, l’uomo che ammutolì il Maracanà

TRIESTE. Ci sono momenti che valgono una vita. Un gol che diventa leggenda. Il destino si è portato via Alcides Edgardo Ghiggia il 16 luglio, 65 anni precisi dal momento che ne fece un eroe per la sua gente e gettò nella disperazione il Brasile.
Ghiggia nei libri della storia del calcio ci è finito per quel momento lì: epilogo dei Campionati del Mondo di calcio 1950, al Maracanà di Rio de Janeiro. Da una parte il Brasile che pregusta il trionfo casalingo. Dall’altra l’Uruguay. Ghiggia non ha il talento di Schiaffino ma è veloce e dannatamente scaltro. Al Brasile, che comanda il girone all’italiana che assegna i Mondiali basta un pareggio. Ce l’ ha in pugno. Segna con Friaca e si illude. L’1-1 di Schiaffino è un affronto che si può perdonare. Ma al 79’ quel diavolo di Ghiggia si inventa il gol che ammutolisce una nazione. Erano in 200mila al Maracanà, scrivono le cronache. Chissà. Il racconto, negli anni, diventa leggenda. Ghiggia, baffetti sottili come uno svolazzo, diviene l’uomo del “Maracanazo”. Non gli viene permesso di godersi la vittoria. Lo aggrediscono dopo la partita. L’onta del Brasile umiliato in casa va lavata con una stupida violenza. Ghiggia torna a Montevideo con l’onore di aver deciso il Mondiale e un paio di stampelle. «Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanà: Frank Sinatra, papa Giovanni Paolo II e io», ricorderà decenni dopo.
Ha un carattere forte, Ghiggia. In campionato una torrenziale squalifica dopo l’aggressione a un arbitro gli fa capire che è arrivato il momento di cercare fortuna altrove. Lo accolgono la Roma e, in seguito, il riconoscimento di oriundo. Dopo aver portato in paradiso la Nazionale dell’Uruguay, si spera che possa servire anche alla causa azzurra. Stavolta la fortuna guarda da un’altra parte. Per la prima volta nella sua storia l’Italia si vede chiudere in faccia le porte di un Mondiale, quello del 1958. Dopo otto campionati con la Roma, Ghiggia disputa un anno con il Milan e se ne torna a casa. Allena e poi riappare in occasione delle celebrazioni della “Celeste”. Non viene dimenticato. Diamine, è l’uomo del Maracanazo.
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