Il basket azzurro a metà strada tra paure e sogni segreti

Intorno all’Italbasket c’è un sentimento clamoroso che l’amichevole di Trieste ha confermato: una passione che si regge sull’attesa più che sui risultati

Fabrizio BrancoliFabrizio Brancoli
(foto Bruni)
(foto Bruni)

Il ranking internazionale — con gli Europei ormai dietro l’angolo, girone a Cipro dal 28 e fasi finali a Riga — mette l’Italia del basket all’undicesimo posto. Lontani dal podio, distanti persino dal traguardo minimo per offrire una birretta di gruppo e festeggiare. Cosa vuoi festeggiare, se arriverai in quella posizione? Sei l’Italia, ricordalo. Undicesimi. Bene, bene.

Perché, da che mondo è mondo, certe classifiche sono dei grimaldelli motivazionali, il carburante per le anime competitive. Non credono in noi, ci snobbano. Perfetto, facciamogliela vedere. Dentro lo spogliatoio azzurro questo pensiero si muove silenzioso, come un serpente sui fondali. E chissà che non morda al momento giusto, quando a Limassol giocheremo contro Grecia, Georgia, Bosnia, Spagna e Cipro. Siamo destinati a fermarci prima dei quarti? Lo dirà il campo, non un algoritmo.

A Trieste l’Italia di Pozzecco, sotto lo sguardo genitoriale di Boscia Tanjevic, assorto su un seggiolino nell’angolo, ha battuto di 16 la tosta Lettonia di Luca Banchi: Fontecchio miglior marcatore (21), Ricci, Spagnolo, Melli e Spissu in doppia cifra con percentuali notevoli, attacco fluido e tenuta nei ribaltamenti di punteggio. Una partita quasi vera per intensità e cura.

Profumo d’Europa per l’ItalPoz: a Trieste Lettonia battuta 91-75
(foto Bruni)

Abbiamo lunghi poco lunghi, sfavoriti nei confronti diretti con molti eurorivali, ma verticali e intimidatori. E spesso l’Italia giocherà “abbassata”: per molti minuti senza centri, talvolta solo guardie e ali. Perché così rende di più. In giro non ci sono lunghi dominanti (gente come Bilan per Brescia in serie A, diciamo); tanto vale sfruttare velocità, apertura e sorpresa. In attacco sappiamo costruire soluzioni e anche gli altri dovranno preoccuparsi. Siamo bassi, siamo leggeri, siamo veloci, siamo pericolosi. Una street gang che punge come uno sciame d’insetti.

Con due recenti clinic, anche Sergio Scariolo ed Ettore Messina hanno finito per abbracciare la religione del cambio sistematico: difesa che l’Italia pratica con crescente convinzione, talvolta generando mostri (Spissu sul grattacielo Porzingis per qualche istante), ma efficace. In particolare il cambio difensivo diventa sistematico negli ultimi dieci secondi; gli azzurri difendono con un cronografo interiore tipico delle squadre buone: respiro unico, battito collettivo, compattezza. Un gruppo.

Pippo Ricci (16 punti) dice che il Palatrieste era elettrico: «Ci stiamo allenando bene e volevamo trasmettere l’energia del pubblico». Si è visto. Potrebbe nascere abbondanza nello spot di guardia, dove sta per inserirsi Darius Thompson: maestro del pick & roll, potenzialmente un nostro piccolo Calathes (per non evocare Billups o Chris Paul), uno che può dare ordine e idee. Pozzecco, complice la non perfetta forma di Tonut, ha testato Spagnolo in coppia con Pajola o Spissu. Ha funzionato: punti, sostegno alla regia, ispirazione nei giochi a due. E se fosse lui la guardia giusta?

Fontecchio resta la principale minaccia azzurra. L’arrivo sempre più vicino di Gallinari può complicare i raddoppi su Simone: due minacce sono meglio di una, direbbe Jacques de La Palice (francese, giocava ala nel tardo Quattrocento). Questa combinazione, per le difese altrui, sarebbe una piccola tortura strategica.

Ora l’Italia è a Bologna: giovedì al PalaDozza quarto match, contro l’Argentina. Siamo un cantiere aperto, DeVincenzo archiviato, attendiamo Darius & Danilo, scendiamo in campo con la rabbia sotterranea dei sottovalutati.

Cinquemila cuori azzurri per l’Italbasket a Trieste: una doppia vittoria
(foto Bruni)

Intorno all’Italbasket c’è un sentimento clamoroso (sì, l’aggettivo caro al Ct). Oltre cinquemila tifosi hanno riempito un Palatrieste in versione altoforno: affetto puro, Melli ha ormai lo status della bandiera, sale l’urlo “Italia, Italia” da brivido. È una passione che si regge sull’attesa, più che sui risultati: miccia accesa dai successi delle giovanili e della femminile, braci smosse sotto la cenere. Il basket azzurro è lì, sospeso e danzante; a metà strada tra paure e sogni segreti.

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