«Quella semifinale iridata contro le brasiliane...»

A 5 anni dalla decisione di lasciare il professionismo, la testimonial del Col si racconta

TRIESTE. Se dovesse tornare indietro, rifarebbe le stesse scelte: la decisione di lasciare la carriera professionistica sportiva, per puntare su quella universitaria, le è costata parecchio, ma l’ha gratificata in termini di soddisfazioni personali. Sandra Vitez, ex pallavolista di serie A col Sassuolo ed ex Nazionale, in prossimità dell’agognata meta della laurea in Farmacia, non si sottrae a capatine al PalaRubini per seguire da vicino le partite dei Mondiali di volley, il primo grande amore. Scelta come madrina delle prime due fasi triestine di questa kermesse iridata e come testimonial dal Col locale, l’ex azzurra non maschera una certa emozione, sia per questo ruolo che per il fatto di vedere in casa, nella sua Trieste, finalmente della pallavolo di altissimo livello.

Nel guardare esibirsi questi squadroni e giocatrici che hai conosciuto, provi qualche rammarico?

Beh, quando vedo partite di qualità e tanti spettatori come in questi giorni, è ovvio che l’agonismo mi manchi. Sono passati tuttavia già oltre 5 anni dal mio ritiro e non mi pento della decisione presa.

A Trieste in queste due settimane sono arrivate alcune delle più forti giocatrici al mondo, raccontaci qualche aneddoto.

Le brasiliane sono le più famose e ricercate: contro tre di loro (Adenizia, Thaisa e Fe Garay), ho giocato nella semifinale dei Mondiali juniores in Turchia. Hanno vinto per 3-2, al termine di un match pazzesco concluso 16-14 e non potrò mai dimenticare quella sfida, anche perché avevamo il potenziale per diventare noi le campionesse mondiali. Con alcune altre, la Brakocevic, e altre europee che militavano in Italia, ci siamo affrontate in serie A, mentre quando giocavo nel Kerakoll Sassuolo era venuta in prova una giovanissima Vasileva (la topscorer bulgara, che poi finì a Cremona, e vinse uno scudetto a Bergamo, ndr).

La pallavolo resta comunque una tua indiscutibile passione.

Sì, è una disciplina che mi ha dato tanto. Nonostante l’impegno universitario e il tirocinio in farmacia, ho proseguito ad allenarmi, di tanto in tanto, nel Kontovel e ho dato una mano per seguire le più giovani. Mi son ritrovata ad istruire anche tre squadre in contemporanea, finendo perciò a passare fin troppe ore in palestra. Così nell’ultimo anno, a malincuore, ho dovuto interrompere per dedicarmi solo allo studio.

Tutti vedono solo i lati positivi dell’essere atleti top: fama, soldi, viaggi. Ma che insidie nasconde?

La vita di un atleta professionista, nel volley ma anche in altri sport, non è tutta rose e fiori. La mancanza di legami, di solidità, il continuo spostarsi e la lontananza da famiglia e amici; senza parlare del fatto che poi, al di là delle stelle, è improbabile restare nella stessa città più di una-due stagioni, complici fattori imprevedibili e l’insolvenza salariale, con un cammino che si fa incerto per il futuro. (a.tris.)

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