Riecco Rich Laurel: «Voglio tornare a far grande Trieste»

TRIESTE. La parte di icona “vintage” dello sport triestino probabilmente non gli basta più, forse è il momento di una nuova stagione, di altri traguardi. Rich Laurel e Trieste.
Tra la città e l'asso del basket locale all'epoca targato Hurlingham è sempre stato amore, anche adesso, a distanza di oltre 30 anni, un sentimento che emerge puntuale quando torna ad abbracciare gli amici, quando per strada viene riconosciuto dai tifosi o quando veste i panni di coach al servizio dei giovani. L’ultimo ruolo lo appaga, lo carica per il futuro, lo porta già ad individuare, e quasi a battezzare, alcuni giovani triestini papabili per un grande salto Lo sa bene uno come Alberto Tonut, che per il secondo anno consecutivo lo ha voluto ancora al suo fianco per arricchire il camp “Basketball Development Weeks”. Rich Laurel segna, consiglia, spesso racconta. Quasi delle prove tecniche di trasmissione di quanto vorrebbe fare da queste parti in pianta stabile, alle prese magari con un nuovo progetto.
«E' già molto importante che la Pallacanestro Trieste sia salita di categoria – puntualizza Laurel - ora deve continuare su questa strada”.
A distanza di anni la passione per il basket a Trieste non sembra diminuita, nonostante i molti alti e bassi
E' sempre stato così, amo questa città anche per questo. Quando ci giocavo si percepiva questo amore per il basket in maniera particolare. Ora bisogna lavorare bene per permettere che l'entusiamo cresca maggiormente. Per questo la promozione in LegaDue è stata fondamentale.
Potrebbe non bastare. Dove bisogna concentrare il lavoro?
Su vari aspetti, non solo tecnici. E' chiaro che uno sponsor, o magari più di uno, siano importanti per crescere in tutti i modi. Io vorrei dare un mano a Trieste in un progetto simile, dare un contributo importante.
Sponsor a parte. Quale sarebbe la priorità?
Probabilmente un salto di mentalità, prendere magari esempio di più di quanto si fa negli Stati Uniti, anche a livello universitario.
Questo “ salto di mentalità” da dove inizia?
Quando giocavo a Trieste, ma anche in altre squadre in Italia, ho condiviso troppe esperienze di giovani che passavano più tempo in panchina che sul parquet. Erano giocatori anche validi, che poi, a distanza di anni, scoprivo sparire dalle scene della serie A. Bisogna saper valorizzare meglio.
A proposito di valorizzazione. I camp sono fatti per far divertire i giovani ma anche per scoprire qualcosa in prospettiva.
Sì, infatti io tengo d'occhio un giovane su cui credo molto, si chiama Andrea Donda, gioca nel San Vito, ha 12 anni ed è già alto 1.91. Lo vedo dotato non solo nel fisico ma anche della mentalità giusta.
Come lo sta aiutando?
Lo seguo come posso, lavorando e parlando, sia sul campo che a distanza. Quando non sono da queste parti mi informo, chiedo delle sue statistiche, degli eventuali progressi. Voglio aiutarlo veramente.
E' tutta la Trieste del basket che va aiutata a crescere ancora.
Certo e io sono pronto a farlo. Amo veramente questa città e so che la pallacanestro qui diventa vita. L’ho provato di persona.
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