Scuole vela, piccoli campioni crescono

Parla l’istruttore e allenatore federale Jacopo Ferrari Bravo che ha sfornato talenti come Coccoluto: «A Trieste un’ottima formazione. Lo sport fino ai 13 anni deve restare un gioco. Il problema non è l’agonismo ma le pressioni dei genitori»



La vela è uno dei pochi sport che non ha limiti di età, che si può praticare quasi da "neonati" fino ad oltre 100 anni. C’è una sola regola che ha imposto la Federazione italiana vela, ovvero i sei anni compiuti per l’iscrizione al primo corso. L’importante è l’approccio con la giusta mentalità, spiega Jacopo Ferrari Bravo, laserista un tempo tra i primi in Italia, istruttore federale e allenatore tra gli altri di Vasilij Zbogar (un bronzo e due argenti alle olimpiadi) e Giovanni Coccoluto (podio agli europei di Laser). «Nel golfo di Trieste c’è un livello molto alto tra scuole nautiche e scuole di vela, non ci sono particolari rischi anche perché chi non è adeguato viene automaticamente estromesso dal mercato e dal passaparola».

Partendo dai più piccoli non ci sono situazioni particolari da ricercare oltre all’empatia che possono avere i genitori - o il bambino - con l’istruttore. «In questo periodo storico subito dopo l'iniziazione c’è però un problema legato all’agonismo che qualcuno reputa eccessivo e nocivo. Personalmente - spiega l’istruttore - penso che gli aspetti negativi derivino più che dall'agonismo dalla pressione di noi genitori che carichiamo di responsabilità quello che dovrebbe essere un gioco formativo. Dovremmo ricordarci che fino ai 13/14 anni lo sport deve avere una valenza di gioco con il quale fare esperienze sia a livello sociale, con la condivisione di avventure in mare e trasferte insieme ai coetanei, sia di altro genere come l'acquisizione di una certa autonomia nella gestione di problematiche vissute a terra e in mare e di un miglioramento nell'apprendimento motorio. Lo sport visto come possibile carriera inizierà solo dopo».

Il mezzo invece non è importante «l’optimist è sicuramente una buona barca, ma è fondamentale che costi poco e che la “monotipia” sia molto stretta. In ogni caso per fare agonismo non bisogna essere particolarmente ricchi, mi piace citare l’esperienza di qualche decennio fa della Società Velica Barcola Grignano, un fenomeno unico perché i figli di un gruppo di persone normali, alimentate dalla genuina passione, è stato in grado di fare la storia prima sulle derive e poi sulle barche d’altura con ancora oggi campioni di primissimo piano. In quel gruppo erano prima di tutto amici - pur rivali - e si divertivano a passare la giornata in barca, molte volte in completa autonomia o quasi, una cosa che adesso sarebbe impensabile. Quei ragazzi hanno ancora una sincera passione per la vela anche se non tutti ne hanno fatto una professione. Un fenomeno che poi in forma meno numerosa c’è stato anche in altri circoli».

Se i bambini hanno la possibilità di imparare da piccoli per gli adulti sono poche le scuole vela dedicate e la strada è quella della patente nautica. Il problema è che non tutte riescono ad avere un personale all’altezza «anche in questo campo comunque a Trieste c’è un livello molto alto - garantisce Ferrari Bravo che ha diretto anche una scuola nautica - anche perché se si lavora bene si diffonde presto la voce. Quello che mi sento di sconsigliare sono quei corsi da tre giorni, non sta né in cielo né in terra di imparare in così poco tempo una materia che non è complicata, ma che richiede la giusta attenzione. La fretta non si concilia con il mare e bisogna sempre tenere a mente che poi in mare non si va da soli, ma abbiamo la responsabilità di altre persone».

Una delle frasi che si sente dire più spesso dai “vecchi” dei circoli è “bisogna ciapar onde” a cui Ferrari Bravo aggiunge qualche piccolo consiglio: «iniziare piano, senza fretta e senza fermarsi alle prime esperienze che possono essere deludenti e non all’altezza delle aspettative». —





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