Silverstone, il circuito amico delle emozioni

Benvenuti nell’ombelico del mondo della Formula 1. Il tempio dorato di Silverstone compie 65 anni e si conferma indiscussa capitale del motorismo britannico. Certo, col passare del tempo e le modifiche imposte in nome della sicurezza, ha perduto un po’ del suo fascino ma è il prezzo che i circuiti old style devono pagare alla Formula 1 moderna. Silverstone passa indenne attraverso le generazioni: ha ospitato nel lontano 1950 la prima corsa inserita nel calendario iridato, è rimasta con Monza la più longeva sede di Gran premi, ha saputo rinnovarsi col passare degli anni, restando in auge nonostante difficoltà di ogni tipo. Ma soprattutto, nonostante lo status di principale feudo britannico nella storia delle corse, vanta un profondo legame con la Ferrari, che a buon titolo considera il tracciato sorto cento chilometri a nord-ovest di Londra come una sorta di portafortuna.
Circuito speciale. A Silverstone si respira da sempre un’atmosfera speciale ed è ciò di cui il Circus ha più bisogno: la storia insegna che l’ex aeroporto della Raf ha piegato la concorrenza di diversi circuiti inglesi, tra i quali Brands Hatch era indubbiamente il più accreditato. Più sinuoso, più affascinante e pericoloso di Silverstone. Ed è stato l’ultimo aspetto, unito all’impossibilità di mutarne più di tanto le linee tra gli invitanti saliscendi, a indurre Bernie Ecclestone a fare di Silverstone la sede stabile del Gran premio. Nonostante i debiti, nonostante le promesse di Donington, che avrebbe dovuto a sua volta cambiare pelle per riscrivere la storia. Promesse per fortuna non mantenute, perché Donington è già stupenda così com’è e a Silverstone, nell’appezzamento che circuisce l’ex pista di atterraggio, si può scavare e costruire fin che si vuole adattando il perimetro alle esigenze delle vetture.
Una volta era diverso. C’era una volta Silverstone fatta di sei rettilinei quasi tutti uguali ma troppo diversi per risultare noiosi. E a unirli curve da percorrere col cuore in gola e il piede a tavoletta, come Stowe, azzannata in sesta piena a 250 orari. O ancora le curve Club e Abbey. Anfiteatri dove il rumore delle monoposto finiva quasi regolarmente per essere coperto da un pubblico in estasi. Oggi quelle curve sono ancora lì, per quanto declassate in ordine di difficoltà, ma la passione della gente è sempre la stessa. La svolta è del 1991, dopo che Nigel Mansell con la Ferrari, nell’edizione dell’anno prima, aveva raddrizzato ogni piega girando in prova a oltre 255 orari di media.
Nuove curve. Il resto nel 2010, con un nuovo complesso di curve inserite nel corpo centrale del circuito, lo spostamento della griglia di partenza su un rettilineo inedito e la costruzione di un paddock nuovo di zecca. Confinando per un attimo la nostalgia in un angolo sono i tempi moderni a dettare tali esigenze: le monoposto non parlano più di pura potenza dei motori, da tempo congelati e dunque identici tra loro, quanto di bilanciamento, di aerodinamica esasperata, di diavolerie elettroniche, di maggiore o minore consumo di gomme.
Un tempo a Silverstone vincevano i cavalli e il coraggio di forzare sempre e comunque, oggi conta la gestione del mezzo in sinergia col muretto box. Qui la Ferrari vinse inaspettatamente con Fernando Alonso un anno fa e potrebbe persino ripetersi, sulle ali dell’entusiasmo per la rincorsa di Valencia. È importante però ricordare che è un Mondiale per tanti, se non per tutti. Ed è bene che a Maranello non si facciano troppe illusioni, come non dovranno demoralizzarsi se non seguiranno subito altri successi. Vincere a Silverstone, però, ha un sapore particolare. E potrebbe significare per il pilota di Oviedo la prima vera fuga del Mondiale 2012.
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