Simeoni soft con Armstrong «Merita un’altra chance»

l’intervista
Oggi Filippo Simeoni ha quasi 49 anni e vive a Sezze, provincia di Latina, dove gestisce un bar-tabacchi chiamato Any-Bar come dedica alla moglie Annalisa, mamma dei loro due figli: Simone di 18 anni e Antonio di 10. Le 15 stagioni passate da professionista della bici non l’hanno certo arricchito, almeno economicamente, ma sono state una palestra di vita insostituibile forse anche perché macchiate dal doping. Il suo palmarès – con 2 tappe alla Vuelta e un campionato italiano – non è ricchissimo, ma Simeoni è diventato lo stesso famoso nel ciclismo perché osò ribellarsi allo strapotere di Lance Armstrong, il boss del gruppo negli anni’90 e 2000, vincitore di 7 Tour de France di fila che poi però gli vennero tolti per il più clamoroso caso di doping nella storia dello sport, emerso anche per le testimonianze di Simeoni. L’ira del Robocop statunitense finì per condizionare pesantemente la carriera di Simeoni, eppure tra i due molti anni più tardi ci sarebbe stato un incontro a sorpresa e riparatore, con le scuse di Armstrong. Simeoni l’ha sempre tenuto nascosto, ma ora – anche per l’uscita negli Usa del film a puntate “Lance” della Espn – ha deciso che è ora di parlarne.
Partiamo da quel Tour 2004.
«Nella diciottesima tappa Armstrong, benché in maglia gialla, lasciò il gruppo e venne a neutralizzare una mia fuga con altri sei corridori, tutti lontanissimi in classifica. Perché? Voleva farmi pagare la mia deposizione del 2003 al processo di Bologna sul doping. Anche se non avevo fatto nomi di corridori ma solo di alcuni medici fra i quali Michele Ferrari, al quale mi ero affidato anch’io e che seguiva Armstrong».
Che cosa le fece capire Armstrong con quel gesto?
«Voleva riaffermare il suo strapotere in gruppo e punirmi di essermi defilato dal coro degli altri corridori, fra i quali allora il doping era molto diffuso. La cosa che più mi ferì fu che molti miei colleghi italiani mi voltarono le spalle, prendendo le parti di Armstrong».
Anche lei però aveva fatto uso di sostanze dopanti.
«Sì. Anni prima mi ero rivolto al dottor Ferrari che mi aveva prescritto dei farmaci. All’inizio la presi come una cura che richiedeva anche regime di vita e diete particolari. Col tempo però mi accorsi che le cose stavano diversamente e così vuotai il sacco. Non ne potevo più, non era giusto come stavo facendo. Fui squalificato ma almeno avevo finito di barare».
Come fu poi la sua carriera?
«Molto difficile, perché tanti colleghi mi presero di mira e Armstrong mi faceva la guerra. Era molto sicuro di sè e mi accusò sui giornali di aver mentito, così lo querelai. In seguito Lance si sarebbe pentito di quella sua spacconata, perché gli attirò addosso altri sospetti e una pubblicità negativa».
È stato il momento più amaro della sua carriera?
«Ce n’è stato anche un altro, quando non invitarono la mia squadra al Giro d’Italia 2009 malgrado io l’anno prima avessi vinto il Campionato Italiano. Mi parve uno sgarbo, come se anche i poteri forti mi avessero voluto ammonire. Del resto si sapeva che la Federciclismo mondiale non era stata immune da colpe nella vicenda doping di Armstrong. Mi sentii punito senza avere delle colpe. Scrissi anche al premier Berlusconi, invano. E alla fine di quella stagione decisi di ritirarmi dal ciclismo».
Qualche anno dopo, però, a sorpresa ecco quell’incontro riparatore con Armstrong.
«Mi sembra sia stato 5 anni fa. Lance, che 2 anni prima aveva confessato tutto in tv nel programma di Oprah Winfrey, andò in Francia per un evento di beneficenza durante il Tour: pochi giorni dopo venne a trovarmi a Sezze. Non me l’aspettavo, mi fece molto piacere e lo apprezzai. Parlammo per oltre un’ora, fu emozionante».
Che cosa le disse?
«Si scusò, era pentito di quello che mi aveva fatto e sembrava sincero. Era tranquillo, posato e molto disponibile, tutto l’opposto del personaggio tracotante e onnipotente che avevo visto al Tour. Mi confessò che era un po’ di tempo che voleva conoscermi e che era rimasto stupito. “Non pensavo che tu fossi così” mi confessò».
Non ha mai temuto che Armstrong fingesse per interesse e salvare almeno la faccia?
«Non posso esserne certo, ma non credo. Mi sembrava sincero e credo che lo fosse».
Perché lei tenne segreto quell’incontro con Lance?
«Chiesi io di non far uscire nulla sui giornali e lui accettò. Doveva restare una cosa nostra, non mi andava di creare altre polemiche o fare pubblicità a qualcuno. Per un paio d’anni ci siamo ancora inviati delle email con una certa regolarità. Poi basta. È andata bene così».
Allora perché adesso ha deciso di ricordare quella riappacificazione con Armstrong?
«È il momento giusto. In fondo, da quella vicenda, ci abbiamo perso entrambi. Io per la mia carriera di corridore, lui perché da idolo delle folle è diventato il simbolo del male. Se è pentito, come mi è sembrato, a questo punto credo che meriti di essere riabilitato».
Intende dire che lei gli toglierebbe la squalifica a vita?
«Il tempo scorre via veloce e Lance se vuole può essere molto prezioso per far capire ai giovani quali errori evitare nello sport e nella vita. Io ho cercato di farlo andando nelle scuole a parlare di ciclismo e da anni ho creato una squadretta giovanile che si chiama “Il Pirata” in ricordo di Pantani. Lo sport per me è impegno, sacrificio, allenamento e studio. Anche Lance di sacrifici ne ha fatti tanti, ma li ha indirizzati nel modo sbagliato e alla fine ha perso tutto anche a causa di chi prima l’aveva e coperto. Ha capito la lezione e può ancora essere molto utile al ciclismo». —
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