Finanziamenti all’esercito sloveno: verso il referendum contro il 2%

Il governo Golob vuole accelerare sull’incremento dei fondi per la difesa. Raccolta firme dei contrari

Stefano Giantin
Esercitazione dell’Esercito della Slovenia. In primo piano un fante mentre imbraccia il suo fucile automatico
Esercitazione dell’Esercito della Slovenia. In primo piano un fante mentre imbraccia il suo fucile automatico

I tempi cambiano e sono cupi, servono massicci investimenti nel settore militare, sostiene il governo di Lubiana, che ha di recente spianato la strada a un inedito e imponente aumento della spesa per la difesa. Ma qualcuno non ci sta. E mira a tastare il polso a un elettorato che, secondo i sondaggi, non sarebbe così propenso ad aprire la borsa per finanziare le forze armate e il comparto della sicurezza nazionale.

È lo scenario che si sta sviluppando in Slovenia, dove la settimana scorsa il premier Robert Golob ha annunciato piani per aumentare la spesa militare fino al 2% del pil – obiettivo minimo per i paesi Nato – con svariati anni di anticipo sul previsto. Lubiana ha deciso di aumentare la spesa dello 0,2% per anno, toccando il 2% già nel 2025 – cinque anni d’anticipo rispetto alle tabelle di marcia – e il 3% nel 2030.

Golob assicura allo stesso tempo che «la sicurezza non si ottiene solo comprando armi, ma prima di tutto coinvolgendo più persone possibile nella difesa e nella sicurezza», aveva precisato Golob, evocando investimenti anche in infrastrutture, tra cui ponti e strade, ma anche in ospedali, non solo in armamenti. Tutto bene? Non proprio.

A tentare di mettere i bastoni tra le ruote al premier e alla maggioranza di centrosinistra potrebbe esserci una vecchia conoscenza della politica slovena, Miha Kordiš, oggi deputato indipendente dopo essere stato espulso dal partito Levica (Sinistra, al governo), in seguito ad accesi contrasti interni. Il radicale Kordiš è oggi leader di un neonato movimento politico, “Noi, i socialisti”. E per preparare il terreno alla conquista di consensi, niente di meglio che un referendum su un tema nevralgico e attuale, come la spesa per la difesa. Ne ha stabilito la relazione lo stesso Kordiš, annunciando il lancio della campagna per la raccolta di firme e la propria discesa in campo contro le spese militari.

Il referendum, se le firme raccolte saranno sufficienti, porrà ai cittadini la domanda se «siano a favore dell’aumento della spesa per la difesa in Slovenia al di sopra del livello del 2004». La risposta positiva non sarebbe scontata. «Le autorità sanno che la gente non sostiene la militarizzazione e cercano di dipingere un quadro inevitabile e, cinicamente, che va a beneficio della comunità», ha sostenuto Kordiš, secondo cui la militarizzazione sarebbe già in atto da tempo. «Mandiamo armi all’Ucraina e addestriamo truppe ucraine, acquistiamo missili israeliani, perseguiamo una politica da vassalli, nell’interesse di Washington e Bruxelles», ha rincarato Kordiš.

L’iniziativa referendaria è stata accolta con sconcerto nella politica che conta. Il Movimento Libertà di Golob ha ribadito che l’aumento della spesa per la difesa non andrà a sottrarre risorse al welfare o a creare nuovo debito. Col referendum – il cui iter dovrebbe essere avviato entro il vertice Nato di giugno – Kordiš cerca solo di «conquistare consensi», ha sottolineato il partito del premier. Sulla stessa linea c’è il partito d’opposizione Nuova Slovenia.

Ma Kordiš potrebbe aver visto giusto. A fine marzo, infatti, un sondaggio svolto da Mediana per l’emittente Pop Tv aveva svelato che il 49,8% degli sloveni sarebbe contrario all’aumento delle spese nel settore militare, contro un 38,6% di favorevoli e un 12% di indecisi. —

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