Giornata lavorativa da 7 ore in Montenegro «Più qualità della vita»

Il premier europeista Spajić pronto a varare la riforma d’intesa con i sindacati: «Così migliora anche la produttività»

Stefano Giantin

Le promesse elettorali si mantengono. Soprattutto se riguardano una questione fondamentale nella vita delle persone, l’orario di lavoro. Che va ridotto, a sette ore al giorno. È la riforma che si dovrebbe attuare non nei più avanzati Paesi scandinavi o in Spagna, dove si va verso la riduzione della settimana lavorativa a 37, 5 ore, bensì nel piccolo Montenegro, nazione balcanica dove il governo ha ormai tratto il dado.

Dopo mesi di consultazioni e analisi, l’esecutivo ha così deciso di premere sull’acceleratore di una innovazione evocata già prima del voto parlamentare del 2023, che ha visto salire al potere il premier europeista Milojko Spajić. Ed è stato proprio Spajić in questi giorni a confermare l’imminente introduzione di norme che diminuiranno fino a sette le ore lavorative giornaliere. «Dopo un’ampia riflessione su come trovare un modello che soddisfi sia i sindacati sia i datori di lavoro, possiamo concludere che siamo vicini a una soluzione sull’introduzione della giornata lavorativa di sette ore» in Montenegro, ha annunciato venerdì il primo ministro.

Non sono parole vuote. Lo stesso Spajić ha infatti anticipato che, all’inizio della prossima settimana, la ministra Naida Nišić, titolare del dicastero del Lavoro e delle Politiche sociali, avrà il compito di finalizzare il passo, consultando prima le parti sociali e i rappresentanti del mondo dell’impresa, con l’obiettivo di implementare le nuove regole forse già a fine anno. Passo, ha precisato l’esecutivo di Podgorica, che è nelle intenzioni della nuova classe dirigente montenegrina e che darà luogo a una delle «più grandi riforme» di sempre nel Paese, pensata per «migliorare la qualità di vita dei nostri cittadini» e per «concedere più tempo per la famiglia», senza dimenticare il potenziale atteso impatto sulla «produttività e l’efficacia» del lavoro, hanno riportato i media locali.

Di certo, la riforma sarà introdotta solo «con il pieno appoggio dei partner sociali», ha assicurato il premier, aggiungendo che le «aspettative dei cittadini» in questo senso – quello di lavorare meno – «saranno soddisfatte». Saranno soddisfatte anche molte richieste dei sindacati, che già nel 2024 avevano ricordato che in Montenegro si lavora in media 42 ore a settimane, in linea con i dati di Serbia e Bosnia-Erzegovina. Ma in tutti i Balcani e in Turchia, secondo dati Eurostat, si lavora in media molto di più che nel resto dell’Europa più ricca, come Olanda (32 ore), Norvegia (33, 7 ore) o Austria (33, 9). È sempre più «necessario ricercare un equilibrio» migliore tra vita privata e professionale. E «chi ha più tempo per prendersi cura della famiglia e della propria vita privata sarà sicuramente più stimolato a dare un contributo maggiore sul posto di lavoro», aveva affermato ai tempi il presidente dell’Unione dei Sindacati Liberi, Srđa Keković.

Ma c’è anche chi ironizza, con social e media balcanici che hanno rievocato lo stereotipo del «montenegrino pigro». E affiorano pure timori. Già l’anno scorso, quando la riforma era ancora agli albori, rappresentanti del mondo dell’impresa avevano richiesto dati concreti sull’impatto delle misure, prima di applicarle. E svariati analisti ed economisti avevano avvisato che il Montenegro non è la Danimarca, la Svezia o l’Islanda. E che soluzioni come quelle adottate in Paesi più ricchi e avanzati difficilmente possono essere copiate pari pari nei Balcani. È la linea, ad esempio, della Serbia di Vučić, con il presidente che ha da tempo chiuso le porte alla giornata lavorativa da sette ore. Perché pure «40 sono poche, bisogna lavorare di più». —

 

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