Protesta a Novi Sad: gli studenti bloccano i ponti sul Danubio: «La Serbia è con noi»
La marcia pacifica a tre mesi dalla tragedia alla stazione. Decine di migliaia di comuni cittadini contro l’élite al potere

Una moltitudine imponente di persone, in maggioranza giovani e studenti, da mesi l’anima delle proteste. Ma non solo, perché a dar mano forte si sono uniti anche docenti, cittadini comuni, famiglie, pensionati, agricoltori, ciclisti, senza contare gli studenti giunti in marcia da Belgrado, accolti da un tappeto rosso. Il risultato, una folla sempre meglio organizzata, pacifica e colorata, assolutamente decisa a non mollare la presa.
Si potrebbe sintetizzare così la grande manifestazione andata in scena a Novi Sad, città della Serbia settentrionale da dove tutto è partito, tre mesi fa, con la tragedia alla stazione ferroviaria, 15 morti. Era il primo novembre dell’anno scorso e proprio ieri, a tre mesi dalla strage, c’è stata la conferma che un tappo, che bloccava tanta rabbia e insoddisfazione, è definitivamente saltato, in quella Serbia che si è sollevata contro quello che molti giudicano un sistema di potere fondato su corruzione e clientelismo, da cambiare quanto prima.
Lo hanno confermato le decine di migliaia di persone che si sono ritrovate, rispondendo all’appello del movimento degli studenti, per il «blocco dei ponti». Era questo lo slogan-obiettivo della protesta di ieri, «organizzata dagli studenti dell’università di Novi Sad» perché «non si può più stare in silenzio», hanno assicurato i giovani.
Giovani il cui piano di battaglia è stato rispettato con puntualità e precisione svizzera. Prima di tutto, poco prima di mezzogiorno, un omaggio commosso alle vittime, davanti alla stazione. Poi, meeting e marce in città. Infine, dalle 15, il blocco dei «tre ponti principali» di Novi Sad, il Most Sloboda, il Most Duga e il Zezeljev Most, per poi spostarsi tutti insieme sul ponte Sloboda alle 18, dove l’occupazione durerà fino a oggi, concludendosi con il primo «plenum» tra studenti e cittadini, hanno spiegato gli studenti. Che anche ieri hanno gridato, all’indirizzo delle élite al potere, «avete le mani sporche di sangue» e «responsabilità».
«Non si torna più indietro, non abbiamo paura», ha detto una studentessa. «Tutta la Serbia protesta con noi», ha fatto eco un ragazzo, le sue opinioni trasmesse anche in questo caso via YouTube durante una lunga trasmissione live della protesta, gestita dagli stessi organizzatori per bypassare i media tradizionali. Nessuna marcia indietro che appare essere il leitmotiv delle proteste, che continueranno, malgrado le dimissioni del premier serbo Miloš Vučević e del sindaco di Novi Sad. E nonostante l’accoglimento, secondo il presidente Aleksandar Vučić, di tutte le richieste degli studenti, ossia inchieste e giustizia per la strage di Novi Sad, pubblicazione di tutti i documenti relativi ai lavori alla stazione, indagini su chi ha compiuto violenze contro i manifestanti, stop ai procedimenti penali contro studenti e professori coinvolti nelle proteste e aumento del budget per l’istruzione. L’impressione è infatti che il movimento di protesta si sia trasformato nella più pericolosa sfida di sempre in particolare per il presidente Vučić, conservator-populista la cui presa sul potere appare giorno dopo giorno più debole.
Novi Sad, ieri, è stato il segnale di «un cambiamento imminente se non già in corso, era da decenni che non si vedeva un premier dimettersi in Serbia e credo che Vučić sia in affanno», messo in difficoltà da una «crisi senza precedenti» e da «una piazza che chiede cambiamenti radicali del sistema», conferma al Piccolo il politologo dell’Ispi, Giorgio Fruscione. Vučić, da parte sua, anche ieri ha aperto al dialogo con gli studenti. Ma ha ribadito che il potere non si può conquistare «con la violenza». —
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