A Monfalcone Cannavacciuolo fa decollare la festa FOTO E VIDEO

MONFALCONE Ci voleva la pacca alla Bud Spencer di Antonino Cannavacciuolo per far decollare come si deve l’edizione 2016 di “Terre di Magici sapori”, la kermesse dedicata al cibo in scena a Monfalcone fino a domenica. Ovazioni, applausi da spellarsi le mani e centinaia di persone all’intervista a ruota libera dello chef pluristellato, mattatore di “Cucine da incubo” e autore di tre libri. Uno dei quali - “Il piatto forte è l’emozione” - è stato incidentalmente (nel senso che Cannavacciuolo ha preferito raccontare la sua vita e dare le dritte sul mestiere ai giovani in sala) presentato. Perfetta spalla, o meglio pungiball, alle battute del cuoco da tubo catodico, l’infaticabile Lucio Gregoretti. Per la cronaca, il primo a beccarsi l’energica pacca sulla spalla, ormai un marchio di fabbrica.
All’ingresso del barbuto chef subito una sventagliata di flash col telefonino e un primo tentativo di assalto al maestro per l’immancabile selfie. Tutto rimandato a fine conferenza, altrimenti sarebbe stata bagarre. Cannavacciuolo, salutato anche dal vicesindaco Omar Greco che ha assurto la folla confluita alla Galleria di piazza Cavour quale inconfutabile prova del gradimento della kermesse, ha immediatamente “rimproverato” Gregoretti per la prolissa presentazione da red carpet: «Ha detto tutto lui: poteva risparmiarsi qualcosa se no io che ci sto a fare?», ha strizzato l’occhio Antonino. E poi giù a sciorinare l’epopea cannavacciuola di un mestiere «massacrante», iniziato fin da bambino, osservando le imprese del padre. Che, intuendo come il lavoro di chef implicasse zero tempo libero per moglie e figli, cercava di mettergli i bastoni tra le ruote per dissuaderlo a intraprendere la strada verso il meraviglioso mondo delle linguine di Gragnano e il piccione in cásoeûla, giusto per citare due specialità di Villa Crespi.
Quindi l’arte di disossare carni e prosciutti, la gavetta al Quisisana di Capri e l’investimento in Alsazia, coi colleghi partenopei a sbertucciarlo perché in patria loro iniziavano a fare i primi quattrini mentre lui lì pagava per imparare la quiche Lorraine. Peccato che ora quei cuochi lo chiamino per «chiedergli di lavorare assieme». Insomma, il sacrificio paga. Non subito, ma vent’anni dopo sì.
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