A scuola di cooperazione per lo sviluppo

Tra i possibili sbocchi lavorativi per un laureato in scienze internazionali e diplomatiche c'è l'impiego in organizzazioni che svolgono attività di studio e ricerche di carattere strategico-politico-militare, legate ai settori della sicurezza e della difesa, ma anche la possibilità di lavorare come operatore per progetti di cooperazione allo sviluppo.
Per offrire una panoramica concreta su queste due opportunità future, ma anche per discutere di temi d'attualità geopolitica con chi opera da tempo in queste realtà, il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Trieste ha organizzato due workshop: il primo, che si è svolto nei giorni scorsi, si è occupato di “Industria della difesa, trattati sugli armamenti, mercato internazionale delle armi e questioni geopolitiche correlate”.
Il secondo, in calendario oggi, dalle 10 alle 12, nella sede di Gorizia dell’Università (via d’Alviano, Aula 102), è dedicato invece alla “Cooperazione e sviluppo, tra volontariato e professione dell’operatore internazionale, tra investimenti economici ed investimenti etici”. Ospiti dei due appuntamenti, ideati dal docente di geografia economico-politica Igor Jelen insieme agli studenti, alcuni rappresentanti di spicco di questi due mondi.
A raccontare come si opera concretamente oggi nel mondo della cooperazione allo sviluppo, con la presentazione di progetti di Ong regionali che operano in aree extra europee (in particolare in Africa, Asia e Sud America), saranno Umberto Marin, Presidente di Time4Africa (Udine), Massimiliano Fanni Canelles, Presidente di Aux@ilia (Cividale del Friuli), Marzia Como, delegato tecnico regionale della Croce Rossa Italiana per la Cooperazione Internazionale del Comitato Aps Onlus (Gorizia), Marco Rossi, dell'Ufficio coordinamento volontari di Emergency (Roma).
Ma partiamo dalle cifre: stando al sito Open Cooperazione, che ha tentato di fotografare il settore attraverso i dati inseriti da oltre 40 organizzazioni italiane, il 54% degli operatori impiegati nella cooperazione sono donne. Di queste l’86% lavorano all’estero e il 14% in Italia. La quota maschile si ferma al 46%, con un 19% di impiegati in Italia e un 81% all’estero. Gli operatori di Ong e Onlus impiegati in Italia sono assunti per il 28,8% con contratti a tempo indeterminato e per il 2,3% a tempo determinato.
«Per lavorare come cooperante si può partire con il servizio civile all'estero, che funziona come una specie di tirocinio retribuito che consente alle Ong di formare i propri operatori – spiega Massimiliano Fanni Canelles, presidente di Aux@ilia -. Oltre alla preparazione universitaria, che consente di conoscere il contesto internazionale in cui si va ad operare, sono necessarie una serie di nozioni pratiche che variano da Paese a Paese, per cui noi organizziamo dei corsi ad hoc. Se ci si reca in un Paese in guerra le cautele ovviamente aumentano in maniera esponenziale».
Le competenze richieste a un cooperante sono di carattere trasversale: serve una grande dedizione, capacità d'adattamento e d'integrazione culturale. Ma è necessario anche conoscere alcune fondamentali nozioni legate alla sicurezza personale: dalla sicurezza informatica alla gestione di situazioni d'emergenza.
«È necessario sapere come comportarsi nel caso di un conflitto a fuoco, ma anche che fare se manca l'acqua potabile: non ci si può improvvisare, serve una formazione specifica, teorica e sul campo. Si deve conoscere il funzionamento della polizia, delle dogane, dei servizi segreti. E serve un'organizzazione che ti guardi davvero le spalle: quando ci rechiamo in Siria con i nostri operatori – spiega Fanni Canelles – li supportiamo con un controllo satellitare continuo, per fornire al capo missione indicazioni utili su come muoversi».
Accanto ai progetti che mirano a rispondere ai bisogni fondamentali della popolazione, dalla sanità al diritto all'acqua e al cibo e all'istruzione, molti sono i progetti per la nascita e lo sviluppo di microimprese sul territorio.
«Gli interventi assistenziali risolvono alcuni problemi immediati, ma non incidono sullo sviluppo locale – racconta Umberto Marin, Presidente di Time4Africa -: in Africa, come negli altri Paesi in via di sviluppo, è necessario impegnarsi per far crescere l'imprenditoria e il mercato locale».
Su questo tema un apporto importante può venire dal mondo delle aziende italiane: va in questa direzione la legge nazionale 125 del 2014, che descrive la cooperazione allo sviluppo come parte integrante e qualificante della politica estera italiana e prevede la collaborazione nei progetti di realtà profit e no profit. Ma, dice Marin, a livello regionale non è stata ancora recepita: in Friuli Venezia Giulia ci si rifà ancora alla legge 19/2000, che andrebbe aggiornata, e la cooperazione allo sviluppo ricade ancora tra le competenze dell'assessorato alla Cultura. Un modo per bypassare il problema, spiegano da Aux@ilia, è dare vita a una Fondazione, un istituto giuridico che consente la compartecipazione di realtà profit e no profit: «In questo modo inseriamo il soggetto profit nel cda del progetto con cui collabora. E non dobbiamo attendere una legge che forse vedranno i nostri figli».
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