«A Trieste ho imparato molto sulla Germania»

L’antipatia verso la Merkel, la personalizzazione della politica, la “disciplina” della città, l’inno austriaco in un telefonino. L’arrivederci del giornalista Karl-Heinz Fesenmeier

TRIESTE. Tre settimane a Trieste sono un tempo troppo breve, uno avrebbe bisogno di mesi. Ciò nonostante, ho imparato un sacco di cose sulle persone, sull’Italia, sul mio paese, la Germania. Già, perché da lontano anche il proprio paese lo si guarda con occhi diversi. Ho imparato molto, soprattutto da Trieste e su Trieste, una città capace di riunire peculiarità altrove incompatibili.

L’impressione che si ha di Trieste, è quella di uno snodo tra la Mitteleuropa e l’Europa mediterranea, tra l’Europa occidentale e i Balcani. Culture, etnie, religioni – per quanto possano esse diverse – qui convivono pacificamente, fianco a fianco. In molti altri luoghi del vecchio continente caratterizzati dalla coabitazione di diverse minoranze, si assiste a fenomeni di emarginazione, covano vecchi risentimenti e ci sono manifestazioni di violenza.

Non a Trieste. Con questo, anche qui vi sono correnti nazionaliste. Nelle città di frontiera vivono sempre persone che hanno la necessità di emarginarsi. Ma è un sentimento che non condiziona questa città. Anzi. Molti percorsi di vita, iniziati da tutt’altra parte in Europa, finiscono per confluire qui, come fiumi in un gigantesco delta marino. Proprio per questo Trieste è anche una città della pace. Esistono molti luoghi, dove le ipoteche del passato impediscono spesso una pacifica convivenza tra maggioranza e minoranze. Trieste si è invece trasformata, anche grazie alla sua storia alquanto sfaccettata, in una città modello per l’Europa del futuro.

Quando sono arrivato in città, mi sono molto stupito del fatto che molte persone che vivono a Trieste non si sentano per nulla italiani. E oggi mi stupisco assai di meno. Che gli sloveni nutrano questo sentimento, è comprensibile. Ma ci sono un sacco di persone, e non solo quelle anziane, che rimpiangono gli asburgo, i quali in oltre 500 anni, hanno lasciato una forte impronta nella città. E ci sono anche persone che non hanno alcun problema a dire apertamente, che oggi preferirebbero appartenere all’Austria piuttosto che all’Italia.

Una volta, su un autobus ho sentito l’inno nazionale austriaco. Era la suoneria di un cellulare, anche se l’uomo che aveva estratto il telefonino dalla tasca della giacca era senz’ombra di dubbio un locale, e parlava italiano. Ad altri triestini della cittadinanza non importa, invece, proprio nulla. Si sentono in primo luogo triestini, poi europei e solo in terza battuta italiani.

A questa città c’è solo da augurare una cosa: che possa vivere una nuova fioritura. Perché, se da una parte si presenta intatta e vivace, dall’altra si colgono evidenti segni di decadimento. Dal mio appartamento, per esempio, mi affaccio su due palazzi disabitati. Solo al piano terra ci sono negozi. I piani sopra sono vuoti, le persiane abbassate. Lo stanno già accusando il colpo di questo abbandono, ed è un vero peccato. E un peccato ancora più grande appare lo stato di abbandono del Porto Vecchio. Mi è stato detto che in città ci sono persone e imprese che dispongono di ingenti capitali.

E se così è veramente, non avrebbero a ben vedere il dovere di contribuire alla preservazione di tutto ciò che vale la pena essere preservato?

I triestini mi hanno dato l’idea di essere, sotto molti punti di vista, cittadini molto disciplinati. Per salire sugli autobus utilizzano le porte anteriori e posteriori, per scendere quella centrale, come da regolamento. I cestini, disposti numerosi per la città, non sono mai strapieni, come capita di vedere invece in Germania. Molti posseggono un cane, eppure accade raramente di pestare qualcosa di sgradevole. Anche le strisce pedonali vengono rispettate, basta avvicinarvisi, perché macchine e moto si fermino diligentemente. Non posso però negare che i due triestini con i quali ho girato in macchina, avevano una guida piuttosto sportiva.

E, infine, ho imparato molto sul mio paese. E in primo luogo una cosa: quanto si prendano sul serio in Germania la crisi politica e i problemi sociali che affliggono l’Italia. Detto ciò, sono rimasto lo stesso colpito, della forte antipatia che Angela Merkel suscita negli italiani. In Germania è molto stimata soprattutto per la sua capacità di ascoltare e mediare e, proprio per questo, molti tedeschi sono convinti che, eccezion fatta per i greci, il cancelliere goda di buona nomea anche all’estero. Così però non è. In queste settimane ho imparato che in Italia si tende molto più a personalizzare la politica, ciò nonostante mi auguro che il giudizio sulla Merkel non investa automaticamente anche tutta la Germania.

Per quanto, ora non faccio più fatica a comprendere come mai la politica tedesca venga percepita come arrogante e presuntuosa. Quel che è buono per la Germania, non deve necessariamente esserlo per altri. Per capirsi, è necessario conoscersi.

Un progetto come lo scambio di giornalisti tra Il Piccolo e la Badische Zeitung di Freiburg può rappresentare da questo punto di vista un piccolo contributo. Altrettanto utile potrebbe risultare un gemellaggio tra città. E per questo mi chiedo, com’è che non c’è nessuna città tedesca gemellata con Trieste?

Saranno molte le cose che mi mancheranno, quando non sarò più qui. I colleghi del Piccolo, gradevolissimi, così come altre persone che ho conosciuto. La piazza dell’Unità, i caffé, i palazzi, la rilassatezza, la bellezza, le mille sfaccettature che la caratterizzano, il mare, la luce calda del sud.

Grazie Piccolo, grazie Trieste.

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(4-Fine. Gli altri articoli sono stati pubblicati sulle edizioni del 16, 18 e 23 aprile)

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