Addio Claudio Abbado a Trieste il suo debutto

È morto ieri, a 81 anni, nella sua casa di Bologna, il direttore d’orchestra Claudio Abbado. Era nato a Milano nel 1933 ed era stato nominato senatore a vita. Era stato operato nel Duemila. La camera ardente sarà aperta oggi alle 14 nella basilica di Santo Stefano a Bologna. La famiglia ha chiesto «non fiori e necrologi, ma di esprimere il proprio ricordo con donazioni». Le esequie si svolgeranno in forma strettamente privata.
di CLAUDIO GHERBITZ
La notizia non giunge inaspettata ma i ricordi si affastellano comunque. Uno degli ultimi incontri risale a pochi anni fa, al dopo “standing ovation” di un concerto. Era provato, più smagrito che mai e cortesemente rifiutava la sua partecipazione alla cena: «Da quando mi hanno operato, convivo con uno stomaco ridotto. Ho capito che spesso ingurgitiamo quantità di cibo sproporzionate al nostro apparato, ora mi basta una cucchiaiata per saziarmi....».
Per poi precisare: «In molte biografie ho debuttato a Milano alla Scala nel 1960. Non è vero, la prima volta nel golfo mistico è stata a Trieste, convocato da Antonicelli novembre 1959, per un'opera nuova “Maria d'Alessandria” di Ghedini, cui ha fatto seguito il Prokofiev de “L'amore delle tre melarance”». Ma anche il debutto assoluto sul podio è di Trieste, un concerto sinfonico nel '58 all'Auditorium di via Torbandena.
Ed è un ricordo ancora vivo in chi scrive, che ebbe la ventura di accompagnare due giovani amici, Claudio Abbado e Joaquin Achucarro, per analogo concerto a Gorizia, alla Ginnastica, la sera prima. Risalgono ad allora le rimembranze su Vienna, con Abbado studente all'Accademia. «È stata la fortuna della mia vita, intanto vivere in una grande capitale che, puntando sull'arte e sulla cultura, si stava risollevando dal disastro della guerra e poi usufruire dell'insegnamento di Hans Swarowsky, didatta insuperabile, fra i suoi allievi spuntò anche Zubin Mehta. Non gli riuscì mai di dirigere con successo, ma per la vastità dei suoi interessi sapeva far giungere a destinazione le cose. In classe ridevamo quando diceva che lui insegnava per tutti, per i fessacchiotti e per coloro che vogliono capire e hanno gli strumenti per farlo. Aveva ragione. Io per esempio non so insegnare e quando un giovane mi chiede qualcosa, so solo dirgli di seguire il maggior numero di prove possibili e di ascoltare con grande attenzione...».
“Wien, nur du allein”... «Per me ha funzionato e ne ho approfittato. Ho animato il Festival “Wien Modern”, ad ogni tornata quattro o cinque compositori contemporanei... Mi chiedevano di dirigere Puccini e rispondevo: “Amo molto Puccini ma trovo più interessante proporre, che so, “Fierrabras” di Schubert o “Wozzek” di Berg, o “Kovantchina” di Musorgski... Eppoi si riusciva a stabilire un rapporto fra un organismo artistico produttivo e la cittadinanza. Non succede altrettanto qui da noi in Italia, Paese di civiltà senza pari, ricco di cultura, però abitato da milioni di commissari tecnici per la Nazionale di calcio... A Vienna c'è invece competenza musicale...».
I ricordi più teneri portavano Abbado sulle rive del Danubio, quelli artistici anche a Berlino. Non per niente egli risulta l'unico direttore italiano ad aver inciso l'intero ciclo delle Sinfonie di Beethoven sia con la Filarmonica di Vienna, sia con la Filarmonica di Berlino. Non per niente a Berlino scelsero lui quale successore di Karajan e non ci furono mai rimpianti. Arrivò nella capitale tedesca in contemporanea con la caduta del muro e vi rimase dodici anni inanellando trionfo a trionfo. Poi venne la stagione dell'Abbado pioniere: le Orchestre giovanili, il progetto Abreu, fino a diventare méntore di due divi dell'oggi, Dudamel e Matheuz. A far rizzare i capelli in testa ai nostalgici dei muri e delle guerre fredde, i suoi concerti a Cuba: «La sola cosa che mi interessa è utilizzare la musica per superare conflitti anacronistici. Non mi sono mai rassegnato al declino dell'Orchestra dell'Avana, prestigiosa quand'era diretta da Erich Kleiber, e spero solo che il mio concerto serva a rinverdire un vivaio di talenti...».
Ha sempre dimostrato un'enorme capacità manageriale, sfruttando il proprio prestigio per creare eccellenze. Vedi l'Orchestra del Festival di Lucerna (complesso creato per Toscanini negli anni Trenta), un top inarrivabile con nelle file solisti di fama (i cellisti Guttman, Poppen, Bronzi.... ), tutte le prime parti da Vienna, da Berlino e i componenti dei Quartetti Hagen e Berg...
Senatore da una manciata di mesi, era un predestinato. Il papà Michelangelo fu violinista e profondo conoscitore della storia degli strumenti ad arco, la madre e due zii di notevole formazione musicale, il fratello maggiore Marcello compositore, pianista, direttore del Conservatorio di Milano. Ai discendenti il non facile compito di tenere alta la stirpe, al nipote direttore Roberto, ai figli, il regista Daniele e Misha che vive a Londra assieme alla mamma, Victoria Mullova.
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