A Ronchi l’addio commosso a Mario Candotto, l’ultimo testimone dell’orrore dei lager
Il cimitero di Ronchi mai così pieno per l’ultimo saluto a partigiano. Così il sindaco Benvenuto, «una voce chiara tra il rumore dell’oblio»

La fisarmonica di Aljosa Saksida, i canti della tradizione partigiana, il silenzio intonato dalla tromba di Paolo Berini, gli interventi che hanno tracciato un ricordo commosso e sincero, ma soprattutto una grandissima folla. Segno tangibile dell’affetto e della stima, ma anche del dolore che si prova per dirgli addio.
Al cimitero di Ronchi dei Legionari si è svolto il funerale di Mario Candotto, spentosi a 99 anni e ultimo testimone in città del dramma della deportazione nei lager nazisti. Numerosi i labari delle associazioni, il gonfalone della città decorato con la medaglia d’argento scortato dalla Polizia locale.

Tanti sindaci, delegazioni provenienti anche dalla vicina Slovenia, il parroco di San Lorenzo, monsignor Ignazio Sudoso, don Luigi Fontanot, il presidente dell’Aned, Libero Tardivo, e il comandante della Stazione dei Carabinieri, il maresciallo Niccolò Grieco, per quella che, curata dalle Onoranze funebri Bertogna, è stata una cerimonia intrisa di profonda tristezza, ma anche dalla speranza che l’esperienza e la testimonianza di Mario non siano dispersi.
«Siamo qui oggi – ha detto la consigliera comunale Federica Bon – con tutti coloro che credono nei valori della democrazia, della libertà, della giustizia sociale e della memoria, per celebrare la vita di un eterno ragazzo, fratello e amico».
Mario Candotto varcò le porte le campo di Dachau il 2 giugno 1944. Era il giorno del suo 18mo compleanno. Fu liberato il 3 maggio 1945. «Ci lascia un enorme vuoto», sono state le parole della presidente dell’Anpi, Marina Cuzzi: «La sua vita è stata lunga, ricca di avvenimenti, curiosità e storie. È stato un uomo di punta nell’opera di ricostruzione del dopoguerra. Un uomo del dialogo. E come non ricordare il suo sostegno convinto alla proposta di gemellaggio con Wagna e Metlika avanzata, negli anni Sessanta, dal sindaco partigiano e deportato Umberto Blasutti».

Candotto, con tanto impegno e grandi speranze, ha speso la sua vita a testimoniare, a raccontare, specie davanti a migliaia di studenti. «Mario lascia a tutti noi un’eredità enorme e fantastica», ha aggiunto la vicepresidente nazionale dell’Aned, Patrizia Del Col: «Lui che era un uomo ironico, ma fermo nelle sue convinzioni. Non è più il tempo della testimonianza, ora c’è bisogno di una militanza concreta».
Con Ondina Peteani, Candotto ha condiviso il tragico viaggio verso la Germania. Un episodio ricordato nell’intervento commosso del figlio di Ondina, Gianni, il quale ha letto alcune importanti testimonianze, come quella di Andra e Tatiana Bucci, le “bambine di Auschwitz”. «Abbiamo conosciuto la tua storia solo ora che sei andato via. Peccato. Abbiamo potuto conoscere la tragedia della tua famiglia deportata ad Auschwitz-Birkenau. Che la terra ti sia lieve, caro Mario. Un abbraccio gigante a chi gigante è stato nella vita». La scrittrice ungherese Edith Bruck ha scritto: «Mi addolora l’assenza di Mario. Noi non dovremmo mai morire. Temo che senza la nostra voce, prima o poi, subentrerà, presto, il grande silenzio. Ci mancherà la tua voce. Siamo sempre più soli». Così la nota del professor Mauro Barberis: «L’ultimo anno, gli ultimi sei mesi, su di lui lui, che aveva patito la fame con i propri compagni di prigionia, si era allungata l’ombra di Gaza. Non si compara mai un orrore a un altro orrore, un male a un altro male, specie se assoluto. Ma neppure a lui le analogie fra Gaza e l’Olocausto potevano sfuggire».

I pellegrinaggi a Dachau sono stati una costante nella vita di Candotto. Le migliaia di chilometri sono stati ripercorsi da Clara Abatangelo, coordinatrice dei “treni della memoria” per Auschwitz per il Nord Italia, che ha sottolineato come «quest’uomo non ha mai covato il sentimento di vendetta». Un “grazie” per tutto quello che Candotto ha rappresentato gli è stato rivolto dal sindaco di Porpetto, Andrea Dri, il quale ha chiesto di riprendere il contatto con il passato e di sfuggire dagli stereotipi. Così il sindaco di Ronchi Mauro Benvenuto: «Una sedia vuota. Una casa umile, in una via di Ronchi. Sempre la stessa. Ora il vuoto che ci lascia Mario Candotto. Ma non è un vuoto qualsiasi. È un vuoto che pesa, un vuoto che parla, che chiama ciascuno di noi a ricordare, a capire, a custodire. Mario non era un uomo “qualunque”. Era un sopravvissuto. Ma non solo. Era un testimone. Una voce chiara in mezzo al rumore dell’oblio. Oggi la città si ferma. Il lutto cittadino non è un atto formale, è un atto d’amore, di rispetto, di responsabilità. Quando se ne va una persona così, il silenzio dev’essere pieno».
Prima delle parole di gratitudine della figlia Tamara, la sorella Monica ha sottolineato come si corra il rischio che la memoria svanisca: «La democrazia è costata sofferenza alle persone come lui. Con la sua scomparsa – ha detto – è come se venisse distrutta un’intera biblioteca». Prima della sepoltura nella tomba di famiglia, le parole del nipote Alessandro: «Hai visto quanta gente? Il nonno aveva un’agenda sempre piena, piena anche della sua voglia di vivere. Sempre con il sorriso e un buon bicchiere di vino in mano, appassionato di musica classica. Testardo sì, ma a modo suo e poi tanto generoso».
Il Circolo libertario Caffé Esperanto ha scritto a sua volta: «Salutiamo un uomo libero. Un “ribelle” come gli piaceva definirsi. La vita di Candotto è stata un’opera d’arte e un inno alla ribellione e alla libertà. Fino alla fine è stato in contatto e in ascolto dei giovani e di chi, dalle piazze, dai circoli anarchici, dai collettivi autogestiti, porta avanti istanze libertarie e radicali».
Il Comitato dei residenti delle case Pater ha espresso quindi «profondo cordoglio e dispiacere» per la scomparsa del partigiano e, per decenni, loro rappresentante ufficiale: «Le riunioni del comitato, il rapporto costante con i residenti, l’impegno da lui profuso verso le istituzioni in difesa del rione e dei suoi residenti sono ricordi che resteranno sempre nei nostri cuori come esempio di impegno politico e civile». E «profondo cordoglio» è stato espresso pure dal Comitato unitario antifascista della Rsu Fim- Fiom-Uilm della Fincantieri di Monfalcone. Lo ricordano come «operaio, attivo nelle storiche lotte sindacali del cantiere, del territorio, e costante presenza alle iniziative del comitato».—
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