"Alessandro è morto per difendere la povera gente"

La giovane moglie Teresita racconta come il marito ha tentato di fermare i rapinatori sul bus
Claudio Ernè con la moglie Teresita
Claudio Ernè con la moglie Teresita
«Alessandro è morto per difendere la povera gente. Ha reagito di fronte ai rapinatori non per paura che gli scippassero un po’ di soldi o l’orologio, ma per compiere un atto di generosità. Perché lui, come sa bene chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, era di una generosità e di una bontà incredibili».

Parla con la voce rotta dal pianto Teresita Cabrera, la giovane moglie di Alessandro Furlan, il triestino di 61 anni freddato a colpi di pistola mentre viaggiava a bordo di un bus a Città del Messico. Il dolore ancora troppo vivo le toglie in continuazione il fiato e le impedisce di ricostruire con lucidità la mattina di quel terribile venerdì. E i fotogrammi della memoria, come in un’ultimo, istintivo tentativo di autodifesa, si bloccano al momento di rievocare l’immagine della stazione dei mezzi pubblici della capitale messicana. L’ultimo luogo in cui Teresita ha visto suo marito vivo.


«Avevo accompagnato io Alessandro in stazione - spiega la donna, cercando di ricacciare in gola le lacrime -. Non ero però salita a bordo del bus assieme a lui. Dovevo infatti raggiungere mia madre per restituirle l’auto che mi aveva prestato quel giorno».

Con quell’auto, venerdì mattina, Furlan e la moglie avevano raggiunto prima il Circolo culturale italiano, dove avevano bevuto un caffè, e subito dopo un forno, in cui avevano comprato il pane. Al momento di rincasare per il pranzo, però, la coppia si era divisa. «È stato Sandro stesso, una volta davanti alla stazione, a suggerirmi di lasciarlo lì - continua la donna -. Mi ha detto ”tu prosegui pure, ci rivediamo tra poco a casa”. Poi, all’arrivo della corriera. ha concluso sorridendo: ”vai, questo è il mio autobus”. È stata l’ultima frase che gli ho sentito pronunciare. Da quell’autobus, purtroppo, non è più sceso. Qualcuno me l’ha portato via per sempre».


Qui, comprensibilmente, il racconto della giovane latinoamericana si interrompe di nuovo, soffocato dai singhiozzi. E riprende, a fatica, solo qualche istante più tardi per mettere a fuoco quelli che, ai suoi occhi, erano i tratti distintivi dell’ex ferroviere triestino. «Alessandro era l’uomo più trasparente e più onesto che abbia mai conosciuto - continua Teresita Cabrera -. Mi ha colpito fin dal nostro primo incontro, avvenuto non in Italia, ma qui in Messico. Tra noi è stato davvero un colpo di fulmine, da cui poi è nata una storia d’amore splendida. La mia vita con lui, questo vorrei proprio che lo scriveste, è costellata di ricordi straordinari. Conducevamo una normale, ma bellissima, vita di coppia. A molte persone la nostra unione poteva sembrare strana, vista la differenza d’età: io, infatti, ho 27 anni mentre Alessandro ne avrebbe compiuti 61 giusto il mese prossimo. Per me, però, quella distanza non contava. Contava solo la sua generosità, il suo impegno per la pace e la sensibilità verso le persone più deboli. Doti di cui ha dato prova fino all’ultimo momento. Anche il tentativo di ribellarsi l’altro giorno all’arroganza dei rapinatori (una baby-gang formata da ragazzini sui 14 anni
ndr), è stato un estremo gesto di generosità verso le persone più deboli di lui».


Della tragedia Teresita ha saputo mentre si trovava a casa della madre. «Ho ricevuto una telefonata in cui qualcuno mi avvisava di un grave incidente in cui era rimasto coinvolto mio marito - conclude la giovane -. Mi sono precipitata subito e ho trovato il bus fermo in mezzo alla strada. Di quello che ho visto dopo, però, non riesco davvero a parlare. Ci ho provato anche con i tanti giornalisti messicani che mi hanno chiamato in queste ore. Ci ho provato - conclude la donna prima di metter fine ad una conversazione che, di certo, le è costata moltissimo -. ma proprio non ce la faccio».


A giorni Teresita Cabrera dovrebbe ricevere dalle autorità messicane indicazioni precise sulla data del possibile ritorno in Italia dei resti di Alessandro Furlan. Il suo corpo, infatti, verrà cremato e portato a Trieste, dove lo attende con ansia la zia Jolanda Rovatti. Nella sua casa di via degli Alpini, ad Opicina, ieri è proseguita la processione di amici di vecchia data e conoscenti del ferroviere in pensione. «Ricevo visite in continuazione - spiega l’anziana -. In tantissime persone, infatti, Alessandro ha lasciato un ricordo splendido. E. del resto, non avrebbe potuto non lasciarlo. Era un ragazzo solare, che salutava sempre: il bambino così come l’anziano. E le tante manifestazioni di affetto che mi stanno arrivando in queste ore - conclude - sono la dimostrazione di quanto sia stato ben voluto da tutti».

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