Amianto, autopsia per tutte le morti sospette

Esami in caso di mesotelioma o tumore al polmone: la Procura punta a rafforzare le indagini con dati precisi
Un significativo passo in avanti nella definizione delle tante morti per amianto e dei relativi procedimenti penali. È il passo compiuto dal pm Giuseppe Lombardi, che ha disposto che ogni persona deceduta in provincia di Trieste per mesotelioma pleurico o tumore al polmone sia sottoposta ad autopsia prima di essere sepolta. I risultati dell’esame devono poi essere comunicati alla Procura, come avviene obbligatoriamente nei casi di omicidio. La scorsa settimana sono state effettuate due autopsie su altrettanti corpi di anziani operai. E ieri mattina il dottor Fulvio Costandinides ne ha effettuata una terza nella sala settoria di via Costalunga adiacente al cimitero. Sul tavolo il corpo di un anziano morto qualche giorno fa di tumore alla pleura.


Finora questi esami non sempre venivano effettuati e la mancanza di dati incontrovertibili sulle cause dei decessi hanno condizionato negativamente molte indagini sulle responsabilità penali dei dirigenti delle aziende di cui gli operai deceduti hanno manipolato l’amianto senza alcuna protezione. Nel dubbio - dice la legge, ma anche la cultura giuridica - l’imputato va assolto.


I risultati delle autopsie disposte per tutti i casi di morte per tumore al polmone o alla pleura dovrebbero consentire un meno arduo svolgimento delle indagini. Se le analisi autoptiche confermeranno ciò che i medici curanti hanno «visto» e diagnosticato al paziente ancora in vita, la Procura potrà risalire con una certa facilità e con molte certezze alle aziende in cui questo o quell’operaio o tecnico hanno lavorato trenta o quarant’anni fa. Il libretto di lavoro, i contributi versati all’Inps e all’Inail, consentiranno una precisa ricostruzione di tutta la vita lavorativa di chi è stato ucciso dal mesotelioma pleurico, un tumore che non lascia scampo e appena si manifesta uccide in pochi mesi.


La decisione della Procura è diretta conseguenza della strage di operai e tecnici dei cantieri navali, ma anche di lavoratori portuali, che ha colpito silenziosamente l’area triestina e il monfalconese. Secondo gli epidemiologi sono 900 i decessi collegabili all’uso dell’amianto a Monfalcone. E altrettanti sono stati segnalati negli ultimi trent’anni a Trieste. In totale 1800 persone morte, sessanta ogni dodici mesi per ognuno di questi trent’anni. Nel futuro immediato il numero di decessi per amianto è destinato a salire ancora, almeno fino al 2015-2018. Questa strage, questi dati agghiaccianti sono emersi tra mille difficoltà.


Pochi sono i processi finora celebrati e molte le inchieste che stanno segnando il passo in attesa di approdare all’aula. Un anno fa il procuratore generale di Trieste Beniamino Deidda, ora trasferitosi a Firenze, aveva avocato a sé le indagini dopo aver puntato l’indice accusatore sui ritmi della Procura di Gorizia e sui fascicoli dormienti negli armadi di quel Tribunale. Per ricuperare i ritardi il magistrato ha organizzato per la prima volta in Italia un pool composto da investigatori dei carabinieri, medici del lavoro e ingegneri esperti in sicurezza che hanno vagliato centinaia di documenti e cartelle cliniche di operai e tecnici uccisa dal mesotelioma pleurico.


La Procura di Trieste e il pm Giuseppe Lombardi che si occupa prevalentemente di incidenti sul lavoro - mortali e non - ha compiuto un ulteriore passo in avanti, puntando sulle autopsie per raccogliere dati sempre più precisi sulle cause dei decessi dei lavoratori. Ecco perché vengono effettuate queste autopsie. Allo stesso tempo per ogni fascicolo e per ogni decesso vengono ricostruite le situazioni contrattuali e storiche dell’epoca in cui l’operaio e il tecnico sono venuti a contatto con l’amianto. Il più delle volte il calendario deve essere riportato all’indietro di svariati decenni.


«Ci siamo proiettati in quegli anni, a partire dal 1965, ricostruendo l’organizzazione del lavoro e le conoscenze mediche e scientifiche. In altri termini abbiamo riformulato il ”sapere” di quell’epoca e ne abbiamo seguito passo passo gli sviluppi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, quando in Italia il decreto 257 ha interdetto l’uso dell’amianto» hanno spiegato gli inquirenti. Già in precedenza, dagli anni Cinquanta, era nota la pericolosità dell’amianto. «Non esiste un vuoto normativo. Il Decreto 303 è entrato in vigore nel 1956: non si parla di mesotelioma pleurico ma si indicano con precisione alle aziende come devono essere protetti i singoli lavoratori dai fumi, dalle polveri e dalle emissioni nocive» ha spiegato più volte il procuratore generale Beniamino Deidda.
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