Aree pedonali scivolate nel degrado

di Fabio Malacrea
Il centro di Gorizia? Un salotto. La città vecchia di Trieste? Un gioiello perfino dove una volta c’erano i bordelli. E Monfalcone? Milioni - almeno 5 - buttati per un centro abbandonato da commercianti e residenti dove il valore delle case è precipitato, trasformato in un ghetto per centinaia di stranieri che ne hanno approfittato per trovare una sistemazione. Un lavoro rimasto a metà, quello dell’ex sindaco Pizzolitto: milioni spesi in un maquillage che, anzichè far decollare il centro, gli ha fatto fare marcia indietro, l’esatto contrario di quanto accaduto a Gorizia e a Trieste. Un inesorabile declino che spinge oggi i commercianti disperati a chiedere una svolta nelle politiche del Comune.
Brucia notare che Gorizia, arrivata più tardi alla riqualificazione del suo centro urbano, stia ora raccogliendo - e non solo con “Gusti di frontiera” - risultati eccellenti. E brucia ancora di più assistere, a Trieste, alla rinascita di zone che vivevano da sempre nel degrado come città vecchia, piazza Cavana e via San Nicolò, diventate dei veri salotti. Esiti opposti per operazioni del tutto analoghe: il Comune se n’è accorto tanto da cercare di correre ai ripari con il progetto Pisus. Ma ci riuscirà?
Il caso Trieste
Un paragone con Trieste è roba da rabbrividire: nelle zone centrali coinvolte dal piano Urban (1996) gli effetti sono stati eclatanti. In piazza Cavana, nota solo per prostitute e malavitosi, ora ci sono negozi e ristoranti a 5 stelle. Gli appartamenti hanno moltiplicato il loro valore, l’opposto di quanto succede in via Sant’Ambrogio e nelle piazzette. Uberto Fortuna Drossi, assessore della giunta Illy, fu il primo a intuire le potenzialità di città vecchia. «Il problema - afferma - sta tutto nell’individuare l’obiettivo finale di un intervento di riqualificazione. Alla base del piano Urban c’è stato un enorme lavoro di approfondimento sul tessuto sociale. Con l’Urban non abbiamo distribuito finanziamenti a pioggia ma abbiamo finanziato chi intendeva aprire delle attività che necessitavano di ristrutturazioni. I Comuni non hanno il potere di imporre licenze ma hanno pur sempre strumenti per indirizzarle. In seconda battuta sono state imposte regole precise a coloro che intendevano aprire attività: insegne, serramenti, tavoli e sedie e quant’altro dovevano essere in sintonia con gli ambiti risanati». E poi, Monfalcone ascolti: «In una piazza di grandi dimensioni - continua Fortuna Drossi - è un errore prevedere tante panchine, creano bivacchi. Come è un errore disperdere le zone pedonali valorizzate. Io avrei puntato su due strade: corso del Popolo e via Sant’Amnrogio, andando avanti poi, caso mai, per passi successivi».
Il caso Gorizia
Gorizia non stava certo peggio di Monfalcone pochi anni fa: non esistevano zone pedonali, piazza Vittoria era un enorme parcheggio, le strade attigue (via Garibaldi, delle Monache, Mazzini) vicoli strozzati dalle auto. «Siamo partiti da un concetto-base - ricorda il sindaco Ettore Romoli-: a Gorizia non c’era alcuna zona pedonale e le strade erano disastrate da trent’anni. Ma c’era anche da evitare che la pedonalizzazione creasse un deserto. Ecco perchè si è deciso di dettare regole a negozianti e esercenti: tavoli, sedie e orbrelloni di un determinato target. Quindi abbiamo puntato sulle manifestazioni promozionali: tutto ciò ha richiamato il commercio di qualità e ha spinto molti commercianti ad ammodernare i loro locali. Nessuna ricetta miracolosa, quindi, solo programmazione».
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