Aveva chiesto il rimpatrio il migrante morto nell’Isonzo

Il trentenne Sajid Hussain attendeva da 8 mesi di poter fare ritorno in Pakistan Ora gli amici lanciano un appello affinché la salma possa riposare in patria



Da otto mesi attendeva, senza successo, notizie sul suo rimpatrio. Un rimpatrio volontario. C’è questo importante retroscena nella tragica vicenda di Sajid Hussain, il 30enne richiedente asilo del Cara di Gradisca, di nazionalità pakistana, il cui corpo senza vita è stato ritrovato sabato mattina nelle acque del fiume Isonzo, all’altezza del quartiere di Straccis. A rivelarlo è un connazionale di Hussain, Ismail Swati, un ragazzo che lavora in seno ad Ics Ufficio Rifugiati, una onlus triestina che fornisce assistenza e informazioni ai migranti.

Non appena saputo del gesto disperato di Sajid, Ismail si è messo in contatto con i suoi connazionali ospitati al centro di accoglienza della cittadina isontina, visitandoli anche di persona per saperne di più. «A quanto emerge – spiega in ottimo italiano Swati – questo ragazzo stava attraversando un periodo psicologico molto difficile. Si, credo soffrisse di depressione. Era frustrato perché la sua situazione non si sbloccava».

Il 30enne pakistano, stando a quanto emerso, si trovava in Italia già da 16 mesi. E in precedenza aveva vissuto per tre anni in Germania. Otto mesi fa però aveva maturato la decisione di rientrare in patria, pare spinto da alcune importanti questioni familiari oltre che dalla sua situazione di salute. In Pakistan Sajid aveva tre figli piccoli. Non è però riuscito nel suo intento. «La sua situazione burocratica non si sbloccava – spiega il connazionale –. Essendo un “dublinante” era disposto a fare rientro in Germania, il Paese che per primo lo aveva identificato, per essere rimpatriato da là, nel caso non fosse stato possibile dall’Italia. Ma l’iter sembrava fermo».

Già qualche giorno prima della tragica decisione di farla finita, Sajid avrebbe strappato i propri documenti dopo un colloquio in Questura. Si era chiuso in un silenzio sempre più triste. «Forse non lo ha aiutato neppure la nuova sistemazione al Cara – riflette Swati – dove era stato trasferito dopo la chiusura dell’accoglienza diffusa e dell’alloggio che divideva a Staranzano con altri connazionali. Forse non è stato curato correttamente».

E per Sajid non sarà facile tornare a casa neppure dopo il suo tragico gesto. Il rimpatrio della salma si profila come un’operazione non semplice: bisognerà identificare e contattare la famiglia e comprendere come affrontare le spese. Sul web molte persone, commosse dalla vicenda, si sono dette disponibili ad aiutare Sajid Hussain e i suoi amici a rispettare, seppure oggi suoni così crudele, quella che era la sua volontà: quella di fare ritorno a casa. –



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