Bambina mai nata al San Polo Quattro ginecologhe a giudizio

La sera dell’8 ottobre 2014 i coniugi Pamela Stok e Omar Marsilli, triestini allora 31enni, residenti a Monfalcone, in attesa della loro primogenita, avevano raggiunto l’ospedale di San Polo d’urgenza. La futura mamma, scaduti da alcuni giorni i termini del parto, era stata colta da una forte emorragia. Sottoposta ad un intervento cesareo, la neonata purtroppo non era sopravvissuta. Una morte intrauterina, era stato accertato.
I giovani sposi, in aula al Tribunale di Gorizia, hanno dovuto ripercorrere quanto vissuto, davanti al giudice monocratico Marcello Coppari. L’avvio del processo per aborto colposo in cooperazione, è l’ipotesi di accusa formulata dal pubblico ministero Valentina Bossi, è stato contrassegnato dal racconto della coppia, chiamata a testimoniare. Non sono mancati momenti di particolare intensità emotiva. I coniugi Marsilli, rappresentati dall’avvocato Alessandro Ceresi, non si sono costituiti parte civile. In udienza, il 19 settembre, è stato ascoltato anche un amico della coppia. Il teste ha riferito del suo rapporto amicale con i giovani sposi. Prossima udienza il 31 ottobre, con l’audizione di due ostetriche, sempre in qualità di testimoni, che s’erano occupate del caso. Nel procedimento sono imputate quattro ginecologhe, in servizio al reparto di ostetricia e ginecologia del San Polo, che avevano seguito in fasi successive la gestazione della donna, in occasione dei controlli ecografici volti a monitorare il regolare andamento in ordine agli stadi di gravidanza. Si tratta di Paola Lazslo, 48 anni, Milena Zammitti, 45, Giuliana Giorgis, 51, Caterina Piva, 37, rappresentate dall’avvocato difensore Riccardo Cattarini.
Un processo molto delicato e difficile, che dovrà accertare se la bimba poteva essere salvata rispetto ad una condizione “anomala”, legata al cordone ombelicale. Se quindi l’anomalia fosse riscontrabile dalle verifiche ecografiche e tale pertanto da rendere necessaria la decisione di un parto cesareo programmato. Il pm Bossi sostiene che la particolare situazione era rilevabile nei diversi stadi della gravidanza, facendo riferimento alle ecografie alla quale la donna era stata regolarmente sottoposta. Con ciò, secondo la pubblica accusa, «senza tenere in debita considerazione» e «diagnosticato» l’evento, lasciando procedere la gravidanza fino al parto naturale. L’avvocato Cattarini ha osservato: «Il processo è assai delicato e non deve mancare la più sentita vicinanza di questa difesa alla signora Stok e al signor Marsilli, colpiti da uno sfortunato fato». Ha aggiunto: «Sarà necessario mantenere l’attenzione esclusivamente sugli aspetti tecnici e medico-legali: pare, infatti, ma sarà il procedimento ad accertarlo, che la patologia che ha afflitto la signora Stok sia molto rara e occulta fino alla sua insorgenza. Sono i dati statistici a confermare che non ci possa essere alcuna responsabilità delle dottoresse per l’interruzione intrauterina della vita della piccola».—
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