Stangata alla banda dei Rolex: sedici anni al boss, ma il criminale è latitante

Un anno di galera in più rispetto ai 15 chiesti dalla pm: il 34enne albanese è latitante da tempo, su di lui pende un mandato di arresto europeo

Maria Elena Pattaro
Il tribunale di Trieste
Il tribunale di Trieste

Arriva anche l’ultima condanna, quella più pesante, per la banda dei Rolex. Kristjan Lumaj, ritenuto il capo del gruppo che tra il 2022 e il 2023 seminò il terrore a Trieste, è stato condannato a 16 anni di carcere per 8 rapine consumate e 2 tentate, un tentato omicidio, lesioni e porto abusivo di armi. Un anno di galera in più rispetto ai 15 chiesti dalla pm Federica Riolino.

Così ha deciso la gup Flavia Mangiante, tenendo conto dello sconto di un terzo della pena per effetto del rito abbreviato. Il 34enne albanese è latitante da tempo: su di lui pende un mandato di arresto europeo. Siccome nella memoria difensiva anticipata alla gup dal difensore Giovanna Augusta de’ Manzano, si lasciava intendere la possibilità di una effettiva confessione, venerdì mattina fuori dall’aula è stato disposto un dispositivo di polizia. Tre poliziotti in borghese erano pronti a eseguire il mandato di cattura nel caso in cui il latitante si fosse presentato davanti al gup.

Condannati i componenti della Banda dei Rolex a Trieste
Un momento dell'udienza in Tribunale (Silvano)

Le probabilità erano minime e infatti la sedia dell’imputato è rimasta vuota. Il giudice ha disposto anche il risarcimento a favore delle cinque parti civili (assistite dagli avvocati Antonio Cattarini, Gigliola Bridda, Mariapia Maier e Jennifer Schiff), con provvisionali comprese tra i 25 e i 35 mila euro.

Al resto della banda la giustizia ha già presentato il conto: sette condanne per un totale di oltre trent’anni di carcere, che i complici ora stanno scontando. Quella di Lumaj resta la più alta. I criminali del gruppo, pur di rubare gli orologi griffati, non si facevano problemi a picchiare a sangue le persone con il calcio della pistola o a sprangate. Durante uno dei colpi in Carso un papà era stato picchiato in modo talmente brutale che uno dei complici si era messo davanti all’auto per non far vedere la scena alla figlia piccola. In un altro caso, invece, il boss e i suoi complici avevano tamponato la vittima in Costiera, puntandole addosso un’arma giocattolo per farsi consegnare l’orologio.

Ma l’episodio più cruento rimane il tentato omicidio dell’imprenditore Fabio Galgaro, davanti alla sua casa di Rupinpiccolo, salvo per miracolo da una pallottola che gli aveva trapassato la gola. Un fatto, quest’ultimo, da cui Lumaj – per il tramite del suo difensore – ha preso le distanze, respingendo anche l’accusa del porto abusivo di armi. L’uomo sostiene di aver utilizzato solo pistole finte. La difesa ha sostenuto che i reati contestati sarebbero stati commessi per saldare i debiti contratti dalla famiglia di Lumaj con una cricca di usurai albanesi.

Gli strozzini sarebbero stati pronti a uccidere il fratello dell’imputato in caso di mancato pagamento. Da qui la richiesta del riconoscimento delle attenuanti per motivi di valore morale e sociale. A cui si sono aggiunte quelle legate alle difficili condizioni sociali e familiari. Ma il giudice le ha negate entrambe. «Mi riservo di valutare il ricorso in Appello», ha commentato il difensore, che in aula ha porto le scuse del suo assistito per le rapine commesse. Parole al vento secondo le parti civili, già «basite e indignate» dai contenuti della memoria difensiva.

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