Bandiera bruciata, gelo Croazia-Serbia

Dopo il gesto del leader ultranazionalista Šešelj, Zagabria richiama l'ambasciatore. Controreplica di Belgrado
Il premier croato Zoran Milanovic
Il premier croato Zoran Milanovic

Oramai siamo alla guerra fredda. Tra Croazia e Serbia è in atto il momento più difficile dal dopoguerra (1991-1995) ad oggi. La pietra dello scandalo si chiama Voislav Šešelj il quale ha pensato bene, dopo aver “ottenuto” dal Tribunale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia il “richiamo” nelle galere di Scheveningen (peraltro non seguito da un mandato di cattura internazionale o di una richiesta precisa al governo di Belgrado), di bruciare sulla pubblica piazza una bandiera croata definendolo «un avviso allo Stato ustascia croato» i cui vertici da un mese stanno facendo pressioni internazionali contro la sua persona.

E la risposta della Croazia non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri, Vesna Pusic, infatti, ha immediatamente richiamato a Zagabria l’ambasciatore croato a Belgrado, Gordana Markotic. Ma il motivo della “rabbia” croata non è solo l’incendio della bandiera con la scacchiera. A rinfocolare gli animi ci ha pensato anche il ministro serbo del Lavoro, Aleksandar Vulin il quale ha richiamato il premier croato, Zoran Milanovic a non parlare contro i serbi, a superare il suo orgoglio e di recarsi a Belgrado per dire tutto quello che pensa dei serbi e della Serbia.

E, alla fine, come ciliegina sulla torta, sempre Vulin ha definito il generale croato Ante Gotovina, comandante dell’esercito nell’Operazione tempesta che di fatto consegnò la vittoria della Guerra patria nelle mani di Zagabria e per la quale fu prima condannato e poi prosciolto dal Tribunale dell’Aja dall’accusa di crimini di guerra, «un criminale ustascia».

Ma lo scontro Zagabria-Belgrado sta avendo pesanti ripercussioni anche a livello interno croato. La ministra Pusic, infatti, si è vista “bacchettare” con forza dalla presidente della Repubblica Kolinda Grabar-Kitarovic la quale ha definito la decisione del capo della diplomazia croata di richiamare a Zagabria l’ambasciatore a Belgrado come «precipitosa».

«Avrebbe dovuto prima inoltrare per le vie diplomatiche - ha precisato la Grabar-Kitarovic - una nota di protesta al governo serbo per quanto affermato dal ministro del Lavoro, Vulin e per il gesto di Vojislav Šešelj». «Io ho ricevuto - ha proseguito la presidente - un messaggio da parte del presidente della Serbia, Tomislav Nikolic in cui si parla dell’impegno a a rafforzare i legami tra i nostri due Paesi, messaggio a cui ho risposto con il medesimo spirito e mi sembra che anche la posizione del premier serbo Aleksandar Vucic vada nella stessa direzione». Gli incidenti diplomatici dobbiamo cercare di evitarli, ha precisato, e non di fomentarli.

Grabar-Kitarovic nella sua lunga dichiarazione ha proseguito sostenendo che lei, mai e poi mai, una situazione del genere la avrebbe posta sul livello dei rapporti bilaterali tra Croazia e Serbia. «Non posso togliermi dalla mente la convinzione - ha quindi concluso il capo dello Stato croato - il richiamo dell’ambasciatore sia direttamente collegato al fatto che siamo in un anno elettorale (in autunno ci saranno in Croazia le elezioni politiche ndr.)». Parole che suonano alquanto contraddittorie in bocca alla Grabar-Kitarovic la quale in campagna elettorale per il voto alle presidenziali, poi da lei vinte, aveva personalmente chiesto al governo di richiamare già allora a Zagabria l’ambasciatore croato a Belgrado come risposta alle dichiarazioni rilasciate dallo stesso Šešelj durante le sue prime ore da uomo libero a Belgrado.

Il governo croato non si è certo lasciato intimidire dalle “bacchettate” del presidente della Repubblica e ha fatto quadrato attorno al ministro degli Esteri, confermando il suo operato e il richiamo dell’ambasciatore croato da Belgrado a Zagabria. E, intanto, Šešelj se la ride e da Belgrado può proclamare: «Sono felice di aver bruciato la bandiera della Croazia e ora aspetto che qualcuno mi processi per questo».

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