Barconi della movida vendesi Belgrado vuole regolarizzarli

Stefano Giantin
Alcuni barconi lungo la Sava che lambisce Belgrado
Alcuni barconi lungo la Sava che lambisce Belgrado

BELGRADO Prima la pandemia, che ha prosciugato i flussi turistici, negli anni precedenti in forte aumento, soprattutto quelli di giovani stranieri in cerca di divertimento nella “movida” più sfrenata dei Balcani.

Poi gli annunci delle autorità, che promettono da tempo di metter fine a un far west fatto di tasse non pagate, rumore, caos e spazzatura nei fiumi. Sembra destinata a finire nel cassetto della storia un controverso aspetto della Belgrado di oggi, quello degli “splav”, grandi imbarcazioni e chiatte trasformate spessissimo senza rispettare alcune regola, in ristoranti, club, discoteche, persino in hotel e cliniche private. Il fenomeno era iniziato già negli Anni Novanta, con gli splav celebri per i balli e le feste scatenate anche durante i bombardamenti, per poi esplodere negli ultimi anni. Splav che, più di recente, sono spuntati come funghi sulle rive della Sava e del Danubio, i due grandi fiumi che attraversano la capitale serba, rubando ai belgradesi la vista dei corsi d’acqua dalle maestose passeggiate costruite ai tempi della Jugoslavia, sia nel pieno centro, a ridosso della fortezza Kalemegdan, sia a Novi Beograd, in ampie parti completamente privata del suo fiume, la Sava, portando anche a proteste popolari. Le cose potrebbero cambiare a breve. È quanto suggeriscono gli annunci di vendita di splav più o meno recenti, tra cui anche luoghi di culto della notte belgradese, come il Pirana, il Lukas e il Leonardo, hanno raccontato i media locali. Sono sul mercato da mesi, a prezzi relativamente modesti.

Uno splav in posizione centrale e con grandi possibilità di sviluppo, è stato offerto a poco più di 600 mila euro per 1.100 metri quadri di spazio. È in vendita «dall’estate e abbiamo avuto alcuni offerenti interessati» per un investimento che potrebbe rientrare «in tredici anni», affittando il locale per feste e matrimoni, ha specificato un agente immobiliare alla Tv pubblica. Altri hanno annunciato di aver abbassato i prezzi nel corso degli ultimi mesi, con alcuni splav sul mercato a meno di 250 euro al metro quadro. Ma l’offerta è grande, i «compratori mancano», ha detto un altro agente. Dietro quelle dichiarazioni, le tante ragioni e cause dietro la prossima fine di “Splavograd”, la città degli splav.

Secondo quanto si mormora a Belgrado, due terzi degli splav non garantirebbe condizioni di sicurezza per gli ospiti, la gran parte non ha alcun permesso o documentazione richiesta dalla legge. In più, «tutti» i locali «gettano nel Danubio le acque di scarico», in una città già superinquinata e senza depuratori, ha sottolineato Marko Stojčić, l’urbanista di Belgrado. il quadro dovrebbe cambiare a breve, con leggi e norme che dovrebbero imporre ai gestori di pagare imposte alla città, di rispettare regole precise sul luogo d’attracco e altre, stringenti, su ecologia e rifiuti.

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