Burlo, rischio pignoramenti per 900mila euro

«Procederemo senza dubbio con gli atti esecutivi, ovvero pignoreremo un bene del Burlo per 900mila euro, se non pagheranno entro i termini».
A pronunciare queste parole è Ferdinando Ambrosiano l’avvocato che assiste assieme ai colleghi Sergio Vida e Gabriele Agrizzi i familiari di Riccardo Senica, il bambino di 14 mesi rimasto vittima di una broncoscopia dagli sviluppi nefasti. La sentenza di condanna dell'ospedale materno infantile, pronunciata dal giudice Arturo Picciotto e immediatamente esecutiva, porta la data del novembre dello scorso anno. Il termine di 120 giorni previsto per questo tipo di atti esecutivi scadrà ai primi di aprile.
Ma fino a ieri la famiglia di Riccardo Senica non ha ricevuto ancora nulla. Non si è fatto vivo il Burlo, non si sono neanche fatti vivi gli avvocati che rappresentano l’istituto materno infantile di via dell’Istria. Non una parola, non una lettera. Così - in caso di inadempienza - potrebbe scattare addirittura il pignoramento di un bene. Questo per recuperare la cifra di 900 mila euro. Una somma senza dubbio importante che comunque non potrà mai ripagare il dolore dei genitori e dei nonni di Riccardo.
Tutto era accaduto a partire dal 17 febbraio 2007, un sabato pomeriggio. Quel giorno il piccolo Riccardo e il suo fratello gemello avevano mangiato carne a pranzo. Carne che, secondo quanto avevano riferito i familiari ai sanitari, era stata tritata e sminuzzata come si fa di solito con i bambini di quell'età. Riccardo, descritto come un bimbo vivace e particolarmente sveglio, aveva mangiato un boccone e un piccolo pezzo di carne gli era andato di traverso. Il bambino aveva tossito più volte ma il pezzettino di carne, anziché essere espulso dalla bocca era sceso lungo le vie respiratorie superando faringe e trachea e arrivando fino a incastrarsi nei bronchi. Era seguito l'intervento chirurgico, effettuato una ventina di ore dopo l'ingresso all'ospedale infantile di via dell'Istria. Poi, durante l'intervento, il piccolo Riccardo era morto per arresto cardiocircolatorio, così era scritto nel referto. Nell'autopsia effettuata dopo la morte il pezzettino di carne non era però stato trovato. Le motivazioni del giudice hanno tenuto conto delle perizie effettuate nell'istruttoria penale «nel dare spessore e contenuto alla probabilità sulla base delle conoscenze scientifiche». Perizie che hanno rilevato come fosse stato fatto uso di «uno strumento inadeguato»; l'intervento «caratterizzato da eccessiva durata» è stata la causa della morte del bambino. «Dagli atti - ha scritto il giudice Picciotto - emerge che si trattava di un intervento di natura ordinaria, disimpegnato a seguito di un'adeguata preparazione, urgente, ma non salvavita». Un intervento che «rientrava tra quelli conosciuti dalla scienza medica e che quindi la struttura (ndr, il Burlo) avrebbe dovuto organizzarsi per la gestione della complicanza e offrire tutti i presidi necessari per arginare le conseguenze insorte in seguito».
Due anni fa il procedimento penale parallelo per il quale erano indagati l'endoscopista Patrizia Tamburini, 66 anni e l'anestesista Patrizia Vallon, 59 anni, era stato cancellato da una sentenza di non luogo a procedere per sopravvenuta prescrizione. Questo perché il pm Maddalena Chergia, il magistrato titolare del fascicolo, aveva depositato la richiesta di rinvio a giudizio un mese e mezzo dopo la linea temporale della prescrizione. «Non vogliamo che simili situazioni si verifichino di nuovo. Per questo motivo abbiamo presentato un esposto alla Procura di Bologna, al presidente della Repubblica e al Csm», aveva annunciato Giuseppe Gosdan, 78 anni, il nonno del piccolo Riccardo: «Chiediamo che i medici rinuncino alla prescrizione e si facciano giudicare». Poi era entrata in campo la procura della Corte dei conti. Il procuratore Maurizio Zappatori aveva aperto un fascicolo in cui viene ipotizzato il danno “indiretto” subito dall'ospedale infantile di via dell’Istria (e quindi dalla Regione, e quindi dalle pubbliche casse dello Stato), chiamato appunto a riconoscere il maxirisarcimento a causa del tragico esito dell’intervento. Intervento per il quale, come aveva rilevato nella sentenza il giudice Picciotto, «vige pienamente la presuzione di colpa». Anche perché si è trattato di un «evento prevedibile, secondo la scienza medica». Soldi pubblici - al netto dei risarcimenti delle assicurazioni - che avrebbero dovuto essere spesi dunque per risarcire di errori commessi da singole persone. Soldi che ora stentano ad arrivare.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo