Cercasi “schiavi egizi” per i musei letterari

Schiavi d’Egitto per i musei Svevo e Joyce. L’arruolamento del volontariato culturale è in corso. L’annuncio, con tanto di illustrazione, è opera del responsabile Riccardo Cepach. «Ì musei Svevo e Joyce sono alla ricerca di volontari che desiderino mettere a disposizione una parte del loro tempo per aiutarci a tenere aperte le strutture, accogliere i visitatori, proporre loro informazioni e approfondimenti - si legge su Facebook -. I candidati dovrebbero avere una certa conoscenza della storia letteraria (essere buoni lettori e sentire una certa attrazione per la materia, tutto qui) e la capacità di comunicare in un inglese comprensibile. Il trattamento che offriamo, purtroppo, non è ancora al livello degli schiavi egizi impegnati nella costruzione delle grandi piramidi perché non siamo in grado di offrire né il vitto né l'alloggio che erano loro garantiti. Tuttavia per chi desiderasse approfondire i temi su cui i nostri musei si fondano e per chi volesse conoscere meglio la realtà di una piccola ma attiva istituzione culturale la prospettiva potrebbe essere interessante. In tal caso, per cortesia, contattateci scrivendo un messaggio qui o a museosveviano@comune.trieste.it, telefonando al 040 6758170 fra le 9 e le 13 , ancora, passando direttamente a trovarci». Le prime offerte, nonostante le condizioni proposte, sono già arrivate. «Non è vero - sorride Bianca Cuderi, direttore del servizio Biblioteche civiche - che non offriamo niente. Si tratta di un’esperienza unica dietro le quinte di due musei che soprattutto per i più giovani può tornare utile nel loro percorso formativo». L’annuncio comunque ha fatto subito scalpore. Qualcuno precisa anche che i costruttori delle piramidi non erano schiavi ma lavoratori salariati e godevano di condizioni migliori di quelle offerte dal Jobs Act renziano. Sarà. «Solo una battuta sul volontariato nelle istituzioni: la prestazione di lavoro volontario nelle strutture pubbliche (culturali e assistenziali in primis) è una nobile tradizione che, a Trieste come altrove, ha coinvolto generazioni di persone - spiega Cepach -. L'alternativa, crediamo, è chiara a tutti: riduzioni, chiusure, disservizi. La plateale ironia del nostro annuncio tendeva a far comprendere che, se da un lato, ci rendiamo conto della scarsa contropartita che siamo in grado di offrire, dall'altro, abbiamo una chiara consapevolezza del fatto che il lavoro, quand'anche volontario, è appunto lavoro e come tale va considerato». fa.do.)
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