Che difficile filmare a Vimy il Memoriale dei canadesi

«Ocio, gamba e buso salva l'omo». Si nonno, però io in trincea non ci sono, o almeno non ancora. Quando la security mi sorprende a Vimy chiedendomi di salire con loro in macchina e di andare a far visita agli uffici amministrativi, non ho dubbi. Sto documentando, cerco di fare il lavoro per cui sono qui, non ho niente da nascondere. Mi fanno così compilare dei moduli in cui dichiaro che le riprese non verranno utilizzate per scopi diversi dall'onorare la memoria dei canadesi caduti nella Grande guerra. Chiedo poi di effettuare delle riprese del personale che lavora al memoriale. «We're not allowed, I am sorry» mi risponde una gentile impiegata canadese rassomigliante più ad un ranger che ad un'impiegata di un memoriale, ed arrivata in Francia un mese fa perché «lavorare per il governo di Ottawa è molto gratificante». Se voglio, mi dicono, posso visitare le trincee e l'area circostante. Ma di filmare il personale, non se ne parla. Vimy è territorio canadese in Francia. Il tutto è sottoscritto da un'intesa tra i due paesi. Il rispetto delle leggi è massimo, l'eleganza anglosassone nel sbandierare l'assenza di scappatoie suona efficacemente sottovoce.
Chiedo gentilmente di mettermi in contatto con Guy Turpin il direttore del Memoriale. «È nel suo ufficio a mezzo chilometro di distanza» mi comunica l'Amministrazione. Vedo uno spiraglio, forse ci siamo. Mi passano finalmente la telefonata. Spiego il progetto, la crescente importanza che sta assumendo quotidianamente all'interno delle celebrazioni per il Centenario, ribadisco la scelta di dar voce all'impegno delle persone. «Il suo è un progetto molto valido e ne percepisco la bontà» così risponde Turpin, «Anyway, we're not allowed, I am sorry».
Qui a Vimy, nel dipartimento del Pas de Calais, nei primi giorni di aprile del 1917 le quattro divisioni canadesi per la prima volta agirono autonomamente conquistando la collina. Il crinale di Vimy rappresentò per tutto il conflitto uno dei punti strategici più importanti nel nord della Francia. La vittoria canadese fu un misto di bravura e fortuna. Lo sbarramento d'artiglieria avanzava cento metri ogni tre minuti. Forze fresche di fanteria venivano sovrapposte alle prime linee con costante cadenza. I tedeschi non ebbero tempo per affrontare il nemico, ci furono errori di comunicazione tra le parti coinvolte ed un sostanziale errore di valutazione della forza canadese da parte del comando tedesco. Sul campo si contarono quasi quattromila caduti d'oltreoceano ed un numero impossibile da ricostruire per i tedeschi.
Il memoriale è oggi meta di moltissimi turisti e nei prossimi anni le presenze aumenteranno. Il programma per il Centenario è praticamente infinito. Si sente la voglia di ricordare e di capirne le ragioni. «Ti me spieghi cos'che xe de capir, picio?».
Dopo aver passato la notte ad Arras, cittadina dove la restituzione della piazza alla condivisione umana sembra essere rimasta sepolta in qualche volume di storia greca a causa del traffico incessante, parto alla volta della tappa di collegamento Cambrai, avvicinandomi cosi a Peronne. Qui c'è uno dei più importanti musei francesi per quanto riguarda la Prima guerra mondiale. In questa zona dal luglio al novembre del 1916, gli alti comandi francesi decisero di intraprendere l'offensiva delle Somme, volta ad alleggerire l'enorme pressione tedesca su Verdun. Il British Expeditionary Force si dimostrò altamente impreparato e nella sola prima giornata di scontri lasciò sul campo oltre 20 mila caduti.
«Gli archeologi prevedono che in questa zona la terra vomiterà residuati bellici per i prossimi 400 anni» mi confida Francois Hervè, direttore dell'Historial de la Grande Guerre di Peronne. «Ogni anno fuoriescono dagli scavi oltre 700 tonnellate». I numeri di questa guerra mettono i brividi.

«Lavoriamo come struttura privata ed il fundraising è diventato uno dei miei migliori amici» scherza Hervè. Hanno trasformato il museo in un piccolo gioiello. La squadra è composta da qualche decina di impiegati. La maggior parte ha meno di dieci anni di contributi alle spalle. «Siamo molto giovani ma con grandi motivazioni. Sappiamo che i prossimi mesi in tutto il dipartimento delle Somme ci sarà da lavorare e tanto. Diciamo che siamo preparati».
Frederick Hadley è vice curatore del Museo, ha 30 anni e conosce a memoria nomi come Isonzo, Redipuglia, Diaz, onorandone la pronuncia. «Sono metà francese e metà americano ma sono convinto che questa storia appartiene a tutti, e il nostro lavoro è quello di ricreare ciò che fu. Siamo un work in progress, ma sono sicuro che per l'inizio delle commemorazioni sapremo dare il nostro contributo alla memoria».
Saluto Peronne e mi dirigo verso Saint Quentin, cosi da avvicinarmi sempre più alla zona chiamata Chemin des Dames. È li che ho appuntamento con Yves Fohlen, guida nelle Caverne du Dragons, a qualche chilometro da Laon, un gioiello medievale perfettamente conservato in cima ad una collina a forma di lingotto.
Le Caverne du Dragons sono gallerie scavate 15 metri sottoterra fin dal XVI secolo. Durante la guerra vennero usate come comando, sia dai tedeschi che dai francesi, e come passaggio strategico per cogliere di sorpresa gli opposti eserciti in superficie Ad ispirare il nome dato dai tedeschi furono le sette bocche di fuoco alle rispettive entrate delle gallerie. Un rifugio pressoché inespugnabile.
(4 - Segue. Le prime tre puntate sono state pubblicate il 20 e 27 maggio e il 3 giugno)
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