Quando la barbarie contagiò l’Europa si riempirono gli ospedali psichiatrici

Quando da Ypres parto alla volta di Menen non so ancora di preciso cosa mi aspetta. «Te sa dove che ti va almeno?». Si, ho persone da vedere, luoghi da visitare e memorie scomode a cui tentare di dar voce.
«Ci sono ancora molte persone che fanno fatica a perdonare le colpe di cui l'esercito tedesco si macchiò», mi racconta Yan Vancoille, giovane storico belga ed autore di Menenwald, un interesante studio sul punto di vista tedesco su quello che accadde qui. «In Germania parlare dei due conflitti mondiali non è semplice. La rimozione storica è parte dell'ammissione di responsabilità anche se tuttavia non si dovrebbe addebitare ai giovani alcun senso di colpa per ciò che i padri commisero».
A Menen c'è il più grande cimitero tedesco nelle Fiandre. Qui riposano quasi in 48 mila. «La Volksbund Deutsche Kriegsgraberfursorge è l'associazione che si prende cura delle necropoli tedesche in tutto il mondo ed attraverso il suo lavoro cerca di mantenere viva la memoria».
La Vdk è un'istituzione privata e lo scorso anno dalle sue casse sono usciti 41 milioni di euro di cui solamente un terzo proviene da fondi governativi. «Riescono a lavorare grazie alle donazioni private e al fundraising che fanno. Per il resto, Berlino sembra aver cancellato ogni conto con il passato», mi confida Vancoille.
Ypres, Menen, Virton. Sono tutti luoghi dove la guerra ha violato la verginità umana, in uniforme o meno non cambia. «I soldati tedeschi che sopravvissero alla distruzione, quando rientrarono in patria trovarono una situazione disastrosa. Durante il conflitto furono 75 mila le vittime civili del Reich tedesco dovute alla malnutrizione causata dal blocco navale. I quattro anni combattuti sul fronte francese cambiarono totalmente la percezione della realtà dei soldati, o quantomeno di quelli che schivarono la morte. Tornare e riadattarsi alle condizioni di vita delle città da cui provenivano fu per loro la cosa più difficile».
Qui nasce il trauma come condizione umana post conflitto. E va a sommarsi alle migliaia di ricoverati negli ospedali psichiatrici perché non in grado di reggere la pressione della barbarie, perché capaci di intravedere negli ordini l' assurdità. Il confronto storiografico su questo campo è ancora molto aperto.
«Ma ti sa dove che te sta 'ndando?».

La strada per Lille mi ricorda che il mio bisnonno Nicolò pretende delle risposte esatte. La città natale del generale Charles de Gaulle si presenta in tutto il suo colorato grigiore. Le persone sembrano, all'apparenza, non combattere più di tanto con le normali difficoltà quotidiane. Probabilmente c'è qualcosa sotto. Qualcosa di nascosto. Di irrequieto.
Lille fu occupata dall'esercito tedesco per quasi tutta la durata della guerra. Dal 3 al 14 ottobre del 1914 la città francese finse di possedere molta più artiglieria di quanta in realtà ne avesse. Un solo cannone contro decine e decine tedeschi. Quando gli occupanti si resero conto dello scherzo non ebbero pietà, radendo al suolo un interno quartiere. La finzione non è mai piaciuta ai troppo seri.
Lille mi da l'impressione di essere. città turistica alle prese con lo sfruttamento della sua bellezza. Un po' quello che succede quando l'industriale cessa di essere produttivo e tutti cercano di convincerti che il terziario e i servizi rappresentano il futuro.
Nel presente ci sono persone che vivono nell'ombra. Persone che lavorano ogni giorno per cercare di tenere viva la Storia, per fare in modo che ci si possa ancora preoccupare dei segnali politici lanciati dalle ultime elezioni europee.Arnaud Pavy è un giovane di Lens. Lavora come volontario al cimitero di guerra di Notre Dame de Lorette, il più grande in Francia con i suoi oltre 40 mila caduti.
«Quando mio padre è scomparso ho voluto raccogliere il testimone di Guard d'Honor. Oggi siamo circa in 4000 per diversi campi santi in questa zona».
Mi viene da pensare che forse in Italia un giovane con queste idee verrebbe facilmente tacciato di militarismo. La percezione che ho è che qui portare una coccarda tricolore non sembra essere un problema. Qui, l'orgoglio è più forte del pregiudizio. Semmai ce ne fosse. Qui, le tre battaglie dell'Artois costarono alla Francia un numero di giovani pari a quello di Verdun.
«Ci aspettiamo per i prossimi quattro anni un'invasione pacifica. Scuole, istituzioni e persone soprattutto da tutta la Francia», conclude Arnaud.
Da Notre Dame de Lorette vado a Vimy. Ci arrivo che sento ancora le pesanti gocce di pioggia liberate dal cielo nelle ultime ore. Trovo scolaresche belghe che si rincorrono sulla scalinata del memoriale ai soldati canadesi caduti qui nell'aprile del 1917 quando per la prima volta le 4 divisioni ai comandi del generale inglese Julian Byng poterono combattere l'una al fianco dell'altra.
Il memoriale è formato da due piloni di 35 metri di pietra bianca proveniente da Traù, in Dalmazia. Il silenzio degli insegnanti nel ricordare la solennità del sito ai propri studenti si somma improvvisamente al rumore della macchina della security che si avvicina velocemente alla videocamera. «Are you a journalist?». «Yes, I am» rispondo. Per ritrovarmi, un minuto dopo nella sua macchina, direzione gli uffici amministrativi.
(3 - Segue. Le puntate precedenti sono state pubblicate il 20 e il 27 maggio)
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