Chiuse le Fornaci giuliane in 14 restano senza un lavoro

Cessati tutti gli ammortizzatori sociali. La Fillea-Cgil: «Qualcuno ha provato a ricollocarsi ma a 50 anni è quasi impossibile trovare un impiego». È l’ennesima area produttiva dismessa
Di Francesco Fain
Bumbaca Gorizia Cormons fornaci
Bumbaca Gorizia Cormons fornaci

CORMONS. Avere più di 50 anni e ritrovarsi di punto in bianco senza un lavoro. Godere della cassa integrazione per due anni senza riuscire a trovare una nuova occupazione.

È la situazione drammatica vissuta dai 14 dipendenti delle Fornaci giuliane di Cormòns. «Qualcuno - spiega Enrico Coceani, segretario della Fillea-Cgil - ha tentato di ricollocarsi ma senza fortuna. A 50 anni e rotti ha del miracoloso trovare un’occupazione. Questo è un problema di non poco conto che, forse, è stato sottovalutato dai più».

Oggi quella delle Fornaci giuliane è l’ennesima area dismessa. Sull’ampio piazzale, lungo la strada regionale 56, non c’è più traccia dei mattoni. Si è chiusa così l’attività delle Fornaci dopo ottant’anni di storia. Una fine già segnata quando quasi tre anni fa la società aveva deciso di chiudere i battenti: chiusi i forni, era cessata la produzione di mattoni. L’azienda cominciò a vendere i macchinari e affittò a un’altra società la cava di argilla nelle colline di Bosc di Sot.

I 25 dipendenti vennero messi in cassa integrazione. La maggior parte, allora, andò in pensione o trovò altro lavoro: ne rimasero così 14, quasi tutti cinquantenni, messi in mobilità, l’ultimo ammortizzatore sociale prima del licenziamento. Una crisi che era iniziata più di sei anni fa quando il fatturato ha cominciato vistosamente a calare. Poi il crollo. In tre anni, dal 2008 al 2011 il fatturato era passato dai 10 milioni di euro a poco più di due lasciando alla società poco spazio di manovra. A pesare come un macigno sull'azienda è stata la crisi del settore dell'edilizia e delle costruzioni, che ha subito un ridimensionato in termini di giro d'affari complessivo pari al 50%. Una crisi dalla quale il settore non è ancora uscito.

Le Fornaci Giuliane cercarono varie strade per cercare di tamponare l'emorragia tagliando drasticamente i prezzi dei prodotti, arrivando al limite del sottocosto pur di piazzare i laterizi sul mercato, con l'obiettivo di generare quel minimo flusso di cassa necessario a far fronte alle spese operative, nell'attesa che la tormenta passasse. Tutto fu inutile. La tormenta non solo non cessò, ma aumentò di intensità.

A chiusura del bilancio 2010, con i ricavi cinque volte inferiori a quelli fatti segnare non più tardi dei tre anni precedenti, all'azienda non restava che una sola decisione da prendere: cessare la produzione. In precedenza era già stata chiusa la fabbrica di Sagrado, dove si producevano in modo particolare le tavelle, concentrando l'attività nel sito cormonese. Negli ultimi anni, mentre i lavoratori hanno goduto della cassa integrazione, l'attività delle Fornaci Giuliane si è limitata alla vendita dei bancali di mattoni che erano stati accatastati sul piazzale, mentre all'interno dello stabilimento venivano smantellati i macchinari e venduti ad altre società del settore.

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