Ciclista in fuga fermato dai doganieri a Sicciole

Assomiglia alla trama di una pellicola degli anni Cinquanta, a una di quelle storie che raccontano di un’Italia spensierata, che si vuole lasciare alle spalle gli anni bui della guerra, un’Italia nella quale il confine fra il tragico e il ridicolo occupa uno spazio limitatissimo, a volte inesistente. Anche quella raccontata dal triestino Tomaz Cefuta è una storia di confine, quello di Sicciole che separa la Slovenia dalla Croazia, e sicuramente sarebbe piaciuta a Vittorio De Sica e ad Antonio De Curtis, quest’ultimo vivace protagonista del film “Totò al Giro d’Italia”. Il ciclismo rappresenta lo sfondo di questa vicenda. È in pieno svolgimento, infatti, la corsa ciclistica Bike Festival, una marathon di 104 chilometri con partenza e arrivo a Portorose. Un plotone di quasi 250 biciclette prende il via dalla cittadina slovena, per quella che si preannuncia come una domenica di sole e di sport. Un gruppetto di atleti prende la testa della corsa già dopo pochi chilometri dal via. In mezzo a questi spunta la divisa rosso Cottur di Cefuta, fisioterapista ventiseienne da due anni in forza alla storica società triestina. «Andavamo a un ritmo sostenuto – ricorda Cefuta, a una media superiore ai 40 chilometri orari. Il gruppo, arrivato a Buie, incomincia a sfoltirsi e, in direzione di Visinada, finisce per ridursi a sei elementi. Con Matic, un ragazzo sloveno, ci accordiamo per affrontare insieme la salita e, aiutandoci in discesa, diamo il via a una fuga».
Nessuno riesce a prendere la scia del triestino e del suo compagno di giornata e i due, così, possono puntare decisi all'arrivo. Devono solo percorrere la discesa che porta al confine di Sicciole, per poi affrontare gli ultimi chilometri che li separano dal traguardo di Portorose. Il confine è in vista, si scorgono già le auto in coda. La parte croata viene passata senza intoppi, con il sottofondo di un applauso improvvisato da qualche poliziotto. A pochi metri dal valico sloveno, però, accade l’imprevisto: l’ammiraglia che precede la testa della corsa rimane imbottigliata in mezzo al traffico. I due atleti scartano sulla destra, riuscendo a passare il confine dal lato di servizio, quello riservato ai poliziotti. Si sentono le urla, qualcuno fischia. Cefuta e il suo compagno, che stanno transitando a oltre 50 chilometri orari, non si scompongono, continuano a pedalare sospinti dall’agonismo. Alle loro spalle si fa largo fra le auto un suv della Polizia slovena, che inizia l’inseguimento a sirene spiegate.
«È successo all’improvviso – racconta il triestino – come in un film d’azione americano. Ci hanno tagliato la strada per fermarci dopo qualche centinaio di metri, accusandoci di aver evitato i controlli e minacciando di comminarci una pesante sanzione». Evidentemente i poliziotti non erano a conoscenza dello svolgimento della corsa e hanno preso alla lettera il concetto ciclistico di fuga, mettendovi fine con la forza. Ma accanto al malinteso trova spazio anche la beffa. Mentre i due ciclisti vengono costretti a esibire i documenti, gli immediati inseguitori in bicicletta sfilano alle loro spalle, sfruttando l’apertura improvvisa del confine, e involandosi indisturbati al traguardo.
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