Condannato per violenza su una bambina latitante a Capo Verde: preso dall’Interpol

Conclusa in cella la fuga di Bertoni, originario di Romans, scappato dopo la sentenza definitiva e aiutato da alcuni amici
Bumbaca Gorizia 07.11.2018 Caserma Massarelli, conf stampa cattura pregiudicato © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 07.11.2018 Caserma Massarelli, conf stampa cattura pregiudicato © Fotografia di Pierluigi Bumbaca



ROMANS

Si è conclusa dopo quasi otto mesi di indagini la latitanza del sessantottenne isontino Angelo Bertoni, condannato per violenza sessuale ai danni di una bimba che, all’epoca dei fatti, non aveva ancora compiuto dieci anni.

Le indagini, scattate nel mese di marzo sotto la conduzione del procuratore della Repubblica del Tribunale di Gorizia, Massimo Lia, hanno visto operare in prima linea gli agenti della squadra mobile della Questura isontina guidata da Claudio Culot, e hanno permesso di ricostruire la fuga dell’uomo, nativo di Romans d’Isonzo e residente a Corona (Mariano), che nel frattempo aveva trovato rifugio nel paradisiaco isolotto di Boa Vista, nell’arcipelago della repubblica africana di Capo Verde, al largo delle coste senegalesi.

Secondo la ricostruzione della Questura di Gorizia, l’uomo avrebbe lasciato l’Italia lo scorso febbraio, soltanto pochi giorni prima che venisse pronunciata la sentenza definitiva della Corte di Cassazione.

Otto gli anni di reclusione che dovrà scontare, a partire dalla scorsa notte, la prima passata dietro le sbarre del carcere romano di Rebibbia, dove gli agenti Interpol lo hanno rinchiuso dopo averlo ricondotto in Italia.

«Non sono state indagini semplici – il commento del procuratore – e hanno richiesto agli agenti della squadra mobile continui servizi, anche notturni, sia per verificare l’assenza dell’uomo dall’abitazione di Corona, sia per mettersi sulle sue tracce e individuare il luogo della latitanza». In un primo momento, si pensava che l’uomo potesse essersi nascosto all’interno di una roulotte parcheggiata in un campo di proprietà della sua famiglia e poco distante dall’indirizzo di residenza. «Successivamente, ci siamo concentrati sulle persone più vicine al Bertoni – ha spiegato Culot – confidando che i loro movimenti potessero svelarci qualche indizio sul luogo del nascondiglio. I primi indizi sono giunti grazie ad alcuni riferimenti che queste persone, parlando tra loro, facevano in merito a una differenza di fuso orario di circa 7 ore rispetto all’Italia. Questo ci ha fatto subito individuare la longitudine, ma non era sufficiente. Dopo giorni di pedinamenti e osservazioni a distanza, abbiamo capito chi, con una certa scaltrezza, recapitava il denaro a uno sportello di Boa Vista, che guarda caso si trova proprio lungo la longitudine che avevamo individuato».

A questo punto, però, le indagini rischiavano di cadere in un nulla di fatto, poiché tra Italia e Capo Verde non esistono accordi bilaterali sull’estradizione e, pur in presenza di un precedente che lasciava filtrare un cauto ottimismo, Questura e Procura della Repubblica non potevano avere alcuna certezza di trovare da parte delle istituzioni africane la collaborazione che invece è stata garantita, forse anche grazie al mandato di arresto internazionale.

«A nostro avviso – ha evidenziato ancora Culot – il Bertoni non ha effettuato una scelta casuale quando ha pensato di fuggire proprio a Capo Verde, stato che finora ha visto solamente un caso di estradizione verso l’Italia. Lì, evidentemente, il soggetto riteneva, nella sua immaginazione, di non poter essere raggiunto dalla giustizia. Siamo particolarmente soddisfatti di aver concluso con successo questa indagine non solo per aver potuto dare corso alla condanna, ma soprattutto per il crimine orrendo di violenza sessuale ai danni di una bambina di neanche 10 anni. Un reato che offende l’intera collettività e che merita da parte nostra il massimo impegno affinché il responsabile sconti la sua pena». —



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