«Consumismo, la nuova religione nichilista»

Ormai la parola crisi è entrata a far parte del vocabolario della lingua di tutti i giorni. Assieme allo spread, i tassi d'interesse, i Bond tedeschi e i Bpt italiani, la crisi economica è sulla bocca di tutti. Ma se questa crisi economica è accompagnata - o meglio influenzata - dall'assenza della felicità, quale può essere il risultato di questo strano mix? A spiegare questo paradosso tra reddito e felicità è stato Luigino Bruni, professore associato di Economia politica all'Università Milano-Bicocca, ospite al secondo incontro “Uscire dalla crisi” organizzato dalla Cattedra di San Giusto (il relatore annunciato, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, non ha potuto essere presente).
Alcuni studi recenti dimostrano una correlazione profonda tra l'indebitamento dell'Occidente (con gli Usa in prima fila) e la diminuzione della felicità dei cittadini e della percezione del benessere. È quindi evidente che un aumento del reddito comporta un accrescimento della felicità – si moltiplicano le libertà e le possibilità di scelta - ma tutto ciò può avere anche degli effetti negativi sul nostro benessere. Soprattutto se si tralascia il valore che i rapporti e le relazioni hanno nel produrre la felicità. «In questi ultimi 40 anni si è perduta la capacità di trasformare i beni in benessere, una condizione che ha causato questa stretta correlazione tra indebitamento delle famiglie e crisi della felicità», ha spiegato Bruni. «Si consuma tanto e troppo per riempire la carestia di relazioni umane», ha aggiunto Bruni, «il consumismo è diventato una nuova religione nichilista che dà priorità ai prezzi e al possesso di beni. Ci si riempie di merci perché sono meno vulnerabili dei rapporti umani, delle relazioni, che però in termini di felicità pesano di più. Ecco che impegnarsi per avere un reddito più alto porta al sacrificio delle relazioni. È vero anche che in tempo di crisi chi ha raggiunto livelli soddisfacenti di comfort fa più difficoltà ad accettare di vedersi limitare le proprie capacità di acquisto di beni».
Ma come risolvere questa carenza di felicità ora che la crisi si fa sempre più pressante? Di certo - è stato detto - gli eccessi dei nostri politici intenti a inseguire denaro e potere non hanno dato un buon esempio. «La sobrietà invece incarnata dal nuovo esecutivo può essere utile per ritrovare e rifondare – ha auspicato Bruni – la responsabilità sociale dei cittadini e non solo delle istituzioni, delle imprese e delle banche». Dalla crisi economica e di felicità si può uscire se ci si prende cura dell'altro: «I rapporti genuini sono un bene ormai scarso. Manca anche il riconoscimento dell'individuo che, ad esempio, nel mondo del lavoro è visto solo come un numero, quando invece dietro ognuno di noi c'è una persona con una sua storia da raccontare». Anche la bellezza intesa come virtù civile può essere utile per ritrovare la felicità perduta, ha indicato Bruni: «Il consumismo fa perdere il gusto della bellezza dei luoghi dove viviamo. Il reddito è un bene individuale mentre la felicità è pubblica».
Ivana Gherbaz
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