Cooperative Operaie al voto ma c’è un’oligarchia blindata

di PAOLO RUMIZ
Le Coop di Trieste vanno dunque al rinnovo del consiglio di amministrazione. Da oggi i soci sono invitati a portare le candidature presso lo studio notarile Chersi per dare inizio alla raccolta delle mille firme di convalida. È un momento importante. Si tratta infatti di capire se ci sarà un rinnovamento democratico in una delle più importanti realtà economiche della città (110 mila soci di cui 17 mila finanziatori). Ma è proprio sulla possibilità di questo rinnovamento che intendo sottoporre alcune valutazioni alla presidenza uscente.
Premetto che mi ritengo insoddisfatto delle risposte avute dal vertice delle Coop lo scorso luglio in merito ad alcuni interrogativi sulla gestione. Nulla mi è stato detto sulle perdite del bilancio consolidato accumulate negli otto anni dell’attuale presidenza (22 milioni 236.312 euro) e nulla sul dimezzamento del patrimonio netto consolidato (da 38 milioni 801.002 euro a 19 milioni 518.147 euro nello stesso periodo). Si tratta, si badi bene, di perdite accumulate in otto anni e non solo nell’ultimissima «congiuntura economica negativa». Lo so, mi è stato al contrario detto che non essendo socio non avevo voce in capitolo: cosa che contesto come giornalista. Sarebbe come dire che è impossibile scrivere delle Generali senza esserne azionisti.
Ma veniamo alle elezioni. L’impressione è che l’attuale dirigenza si sia cucita un vestito su misura per scongiurare l’esistenza di valide liste alternative. All’ultima, tempestosa assemblea dei soci (alcuni dissenzienti sono stati coperti di fischi) si è varato un regolamento elettorale irto di paletti per qualsiasi “new entry”. Per entrare in consiglio di amministrazione bisogna essere soci da cinque anni (il che a quanto mi risulta è contrario allo statuto delle stesse Coop), avere un’esperienza triennale in organizzazioni cooperative, avere svolto attività in una cooperativa, ed è preferibile essere amministratori o dirigenti di una Coop.
Che dire? Con questo regolamento tecnici di fama mondiale come Giovanni Bazoli, Alessandro Profumo o Giovanni Perissinotto sarebbero bocciati dalla commissione “valori e regole” delle Coop medesime. Persino Mario Monti avrebbe meno numeri di un usciere.
Ma c’è di più: la lista dei soci rimane opaca. Solo da pochi giorni gli elenchi sono stati pubblicati in un sito internet riservato ai soci, ma accanto ai nomi non compaiono indirizzo o numero di telefono.
Ne consegue che le Coop sono formate da una folla di persone che non si conoscono tra di loro, ma sono in compenso conosciute dal vertice, che quindi gode di un incommensurabile vantaggio elettorale sui concorrenti: raccolta delle firme di cui sopra, mobilitazione assembleare, formazione di lobby di pressione, spedizione di lettere (come di pubblicità) a precisi indirizzi.
Non sono addetto ai lavori, ma non escluderei che queste elezioni corrano il rischio di essere invalidate. Troppo smaccata è la blindatura di un’oligarchia, inchiodata da una decina d’anni sugli stessi nomi.
E invece di cambiamento ci sarebbe, come dissi mesi fa, urgente bisogno, perché dal 2004 a oggi – gli anni della presidenza Marchetti – le attività commerciali (negozi) delle Coop hanno accumulato perdite per 42 milioni 247.420 di euro. Sono dati ufficiali delle stesse Coop. Un buco di quarantadue milioni, riempito con i risparmi dei triestini (remunerati, è giusto dirlo, con un tasso intorno all'uno per cento) e operazioni finanziarie cosmetiche tra mamma-Coop e le controllate.
I conti sono “puliti”, ha rilevato il revisore straordinario mandato dalla Regione. Si tratta di una certificazione importante. Ma resta il fatto che, se le Coop fossero fatte di soli negozi, sarebbero fallite.
Per capirsi, l’ex sindaco Roberto Dipiazza, con i suoi supermercati, sarebbe stato inghiottito dal baratro di fronte ad analoghi dati contabili. Le Coop no, perché hanno il paracadute dei risparmiatori. Ne hanno talmente tanti che, messi in fila, potrebbero formare una catena umana da Barcola a Sistiana. Un patrimonio immenso.
Assodata dunque la correttezza contabile, le difficoltà restano innegabili. Ma allora, è scorretto pensare che tali difficoltà non siano banalmente dovute al furto di qualche arancia (vedi il caso della signora denunciata la scorsa primavera) ma a una difficoltà di gestione da discutere apertamente, innescando un vero gioco democratico e spalancando le porte al cambiamento? Lo chiedo per rispetto ai soci, ai risparmiatori, alla città. Le Coop sono di Trieste, sono di fatto un patrimonio pubblico (anche se di diritto privato) e grazie alla mano pubblica fruiscono di una tassazione super-agevolata.
Tasca nostra dunque. Non di circoli chiusi che nell’intrapresa spesso non hanno investito, di loro, nemmeno un euro di capitale. È giusto dirlo soprattutto in questi tempi di crisi, in vista di un Natale che – salvo alcuni, ovviamente – ci vedrà tutti più poveri.
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