Cortivo: in classe al Petrarca eravamo una bella squadra

Il medico: volevamo tutti emergere, ma c’era anche molta collaborazione A scuola mi esibivo imitando i prof, ma mi veniva bene anche Peppino Di Capri
Di Annalisa Perini

Lo studio impegnativo e le passeggiate in Corso Italia, la passione per la fisica e il felice incontro con il professor Rodolfo Verzegnassi. Anche Paolo Cortivo, già primario di radiologia all’Ospedale Maggiore e direttore di Dipartimento di diagnostica per immagini dell’Azienda ospedaliero universitaria, è molto legato ai suoi tempi al Petrarca, dove si è maturato nel ’63, sezione C.

Che ricordo ha della sua classe?

Una bella squadra, avrebbe detto Nereo Rocco. Avevamo tutti un forte desiderio di emergere che portava a una sana competitività, ma tra noi c’era un’altrettanto positiva collaborazione. La scuola era centrale, ci impegnava tantissimo, di tempo libero ne avevamo davvero poco. Io poi mi dedicavo con serietà anche al tennis, sollecitato da mia madre, professoressa di ginnastica. Con i compagni ci trovavamo al pomeriggio, in gruppetti, per studiare a casa dell’uno o dell’altro, e ciascuno metteva in circolo i propri punti di forza. Il mio era la fisica.

Amava questa materia?

Con mia zia, che la insegnava all’Oberdan, ne parlavamo quasi come fossimo entrambi professionisti. Si può immaginare l’entusiasmo nell’avere, al liceo, un insegnante come Verzegnassi, eccezionale anche dal punto di vista umano. Aveva un modo di porsi molto semplice, pur essendo uomo coltissimo che aveva vissuto intensamente. Era anche un eroe di guerra, ma non lo sapevamo da lui: non si parlava mai addosso. È anche grazie al nostro incontro e a ciò che seppe trasmettermi che poi intrapresi la professione medica, perché in particolare nella mia epoca la radiologia viveva sulle basi della Fisica delle radiazioni. Purtroppo l’unico ricordo spiacevole legato al Petrarca riguarda la materia che più amavo e risale all’esame di maturità.

Racconti.

Nella commissione esterna la professoressa di matematica e fisica, che veniva da un’altra città, si dimostrò così diversamente impostata nella “mia” materia che - deluso, direi offeso - non riuscii a trattenermi dal farglielo notare. Mia zia, presente come uditrice, a orale finito mi redarguì per il mio atteggiamento quasi irrisorio, ma ero io che mi ero sentito preso in giro dalla mancanza di preparazione e dai modi dell’insegnante. Il resto dell’esame andò benissimo.

Quali altri docenti ricorda con piacere?

Tutti, a dire il vero, come Camillo Boselli, di storia dell’arte e Diana Larese, di scienze. Al ginnasio, per lettere, avevo avuto Levi Castellini. Ai genitori si presentava con un “Dottor Giulio, per servirla!”, che sbalordì alquanto mia madre. Io invece vi trovai lo spunto per la mia prima imitazione in ambito scolastico. Al liceo mi concentrai sui professori Livio Pesante e Pietro Pescani, perché Adriano Mercanti, forte personalità, non aveva però peculiarità adatte all’imitazione, e a Verzegnassi volevo troppo bene. Negli intervalli mi sedevo in cattedra e precedevo di qualche minuto il professore in arrivo, introducendolo con la mia parodia. Ovviamente i diretti interessati ebbero modo di “rivedersi” solo alla cena di maturità.

Un potenziale cabarettista...

La passione per l’imitazione era nata da bambino e con il tempo avevo perfezionato la mia “tecnica”, quasi professionale. Altri miei cavalli di battaglia erano Peppino di Capri sulle note di “Roberta”, e Celentano e il Clan. Ma ero troppo timido e non avrei mai potuto esibirmi in pubblico, se non quello dei miei compagni di scuola, vista l’amicizia e la confidenza che ci legava.

Era in classe con la futura economista Fiorella Kostoris.

E con Vannina Paschi, mia grande amica sin dall’infanzia, Isabella Conti, poi docente, che amava e ama organizzare le nostre occasioni di incontro tra “petrarchini”, e la figlia del professor Edoardo Cumbat, Laura. Tra i compagni c’erano Gigi Rovelli, presidente della Pallacanestro Trieste, Giampaolo Gei, past-presidente del Lions, e Virgilio Tessan, responsabile immobiliare delle Assicurazioni Generali. Classe mista ma clima cameratesco, pur con la debolezza di qualche piccolo corteggiamento. In molti abitavano nella stessa zona, vicino a Foro Ulpiano, e ci frequentavamo anche fuori da scuola. Il Petrarca era ancora in Viale XX Settembre, ma amavamo di più passeggiare lungo il Corso. L’anno della maturità cominciammo a prendere le patenti di guida. Chiedevamo in prestito la macchina ai genitori e il punto di ritrovo era il bar Urbanis, davanti al quale, all’epoca, si poteva parcheggiare dappertutto.

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