Crisi Ucraina, la Croazia annuncia lo stop al greggio diretto in Serbia

BELGRADO L’eccessiva vicinanza alla Russia può costare molto, ai tempi della guerra in Ucraina. Lo potrebbe presto scoprire la Serbia, fra i pochissimi Paesi europei a non aver imposto sanzioni contro Mosca pur condannando l’aggressione. Sulla Serbia - dove molte imprese russe la fanno da padrone, soprattutto nel comparto energetico - pende una spada di Damocle potenzialmente distruttiva: lo stop all’arrivo di petrolio greggio dall’estero attraverso uno storico oleodotto balcanico, ideato ai tempi di Tito.
Lo scenario che potrebbe lasciare a secco Belgrado è stato evocato dallo Jadranski Naftovod (Janaf), operatore statale croato che gestisce l’importante oleodotto adriatico, quello che dal terminale petrolifero di Omišalj (Castelmuschio), sull’isola di Veglia, arriva a Fiume per poi, ramificandosi, solcare la Croazia per portare l’oro nero in Ungheria, Slovenia, Bosnia. E pure in Serbia. Il ramo serbo dell’oleodotto potrebbe inaridirsi nel giro di un mese e mezzo, ha annunciato dunque la stessa Janaf. La ragione? Il cliente serbo di Janaf è la Nafta Industrija Srbije (Nis), gigante energetico serbo finito nelle mani dei russi di Gazprom Neft nel 2008.
Nis oggi è controllata al 56% da Gazprom, mentre un 30% circa rimane nelle mani del governo serbo, socio di minoranza in quella che è considerata una delle imprese più importanti nel Paese. Nis ora è cliente scomodo per Janaf che, pur «non operando direttamente sul mercato russo», dovrà rispettare le regole del quarto pacchetto di sanzioni di Bruxelles, in particolare quelle del 15 marzo scorso, che vietano transazioni con entità sotto controllo russo. Da qui l’obbligo per l’operatore croato di interrompere le forniture previste alla Nis: non subito, ma «a partire dal 15 maggio 2022», come prevede il pacchetto di sanzioni per i contratti conclusi prima di marzo di quest’anno «e fino a quando le misure restrittive» decise dalla Ue rimarranno in vigore, ha informato Janaf. «Non c’è niente da aggiungere, siamo Paese membro Ue» e Zagabria approva le sanzioni, che «appoggiamo e così continueremo» a fare, ha affermato ieri il capogruppo dell’Hdz croato, Branko Babić.
Ma le ripercussioni della mossa obbligata di Zagabria potrebbero essere pesantissime, in Serbia, aprendo anche a un potenziale conflitto energetico che potrebbe rinfiammare i sempre tesi rapporti con la Croazia, mentre i tabloid belgradesi cominciano ad accusare i «croati di stoppare il petrolio», e quelli croati parlano di «brutale schiaffo a Vucic».
A prescindere dalla lettura di parte, lo stop al greggio riguarda quantità imponenti. A gennaio infatti Janaf e Nis avevano siglato un nuovo contratto per il 2022, che prevedeva l’invio in Serbia di 3,2 milioni di tonnellate di petrolio, in forte aumento rispetto ai 2,7 del 2021.
«Siamo molto felici di aver siglato l’intesa con Nis, nostro partner da lungo tempo, fiduciosi che l’anno che inizia sarà sicuramente profittevole», aveva esultato il management Janaf. Cosa succederà se le forniture di greggio dovesse cessare, a maggio? A Belgrado la preoccupazione è palpabile, anche perché via oleodotto adriatico arriva gran parte della nafta che serve a far funzionare la mega-raffineria di Pancevo, che ha una capacità di 4,8 milioni di tonnellate all’anno. E proprio Pancevo potrebbe essere «costretta a chiudere», ha svelato una fonte anonima all’autorevole quotidiano belgradese Politika, ricordando che Nis copre il 70% del fabbisogno di carburanti in Serbia. E Nis se rimanesse a secco, perché la produzione in loco non sarebbe sufficiente senza le importazioni dall’estero, si prospetterebbero tempi molto bui.
Così a Belgrado si cerca di muoversi in fretta, per evitare il peggio. «Stiamo verificando tutte» le possibili «alternative in caso di interruzione delle forniture», ha assicurato ieri il ministero serbo dell’Energia, aggiungendo che si lavora per capire come eventualmente sostituire il greggio in arrivo dalla Croazia, «via terminali e raffinerie» da Paesi vicini ma anche «via ferrovia, cisterne e trasporti fluviali». Ci sono poi altre strade, si mormora a Belgrado. Come quella del riacquisto di Nis da parte dello Stato, una mossa assai costosa e complicata, anche dal punto di vista dei rapporti con Mosca.
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