Croazia, stop al trasporto pubblico, la Serbia estende il coprifuoco

ZAGABRIA Nonostante i provvedimenti, anche drastici, presi nelle ultime ore, nei Paesi dell’ex Jugoslavia è ancora difficile per le autorità far comprendere ai propri cittadini che quella che si sta combattendo è una vera e propria guerra contro un nemico invisibile. E se in Slovenia il governo ha ceduto alle pressioni dei sindacati accettando di tenere aperti negozi di alimentari e i supermercati dalle 8 alle 18 e non dalle 8 alle 20 e il portavoce dell’Unità di emergenza Jelko Kacin spruzza rabbia e veleno se durante questo week end ci saranno concentrazioni nei luoghi di villeggiatura (leggi lago di Bled o riviera di Portorose), in Croazia a fronte di un rapido espandersi dell’epidemia - in poche ore sono risultate positive al coronavirus altre 40 persone e così il totale salito è salito a 168 - il ministro degli Interni Davor Božinović ha imposto la soppressione totale della circolazione dei tram e autobus nel trasporto urbano e l'interruzione per trenta giorni del traffico interurbano ferroviario e dei pullman, con la chiusura di tutte le stazioni dei treni e degli autobus. I traghetti per le isole dalmate sono stati ridotti al minimo. La chiusura di tutte le scuole e università è stata estesa al 19 aprile.
La professoressa Alenka Markotić, direttrice della Clinica infettivologica di Zagabria e membro cruciale dell'Unità di crisi, ha fatto appello alla popolazione a rispettare rigorosamente le misure di prevenzione e a non uscire da casa se non sia strettamente necessario. «Continuo a vedere persone davanti ai bar chiusi con bibite portate da casa, anziani a spasso per i parchi», ha detto, aggiungendo «se veramente volete avere un corona party, tra qualche giorno vedrete cosa significa, questa epidemia non è un film ma la realtà». L'esercito ha eretto una ventina di tende davanti a un ospedale situato alla periferia di Zagabria, per l'accoglienza di infetti in condizioni lievi, mentre alcune centinaia di posti letto sono stati predisposti nel Palazzetto dello sport “Arena Zagreb” che potranno accogliere pazienti ricoverati per altre ragioni in stati clinici lievi e medi.
In Serbia, dove da una settimana è in vigore lo stato di emergenza, scattano nuove misure restrittive allo scopo di contenere i contagi. Come annunciato dalla premier Ana Brnabić, da ieri sera alle 20 hanno chiuso caffè, ristoranti, centri commerciali ed è stato sospeso il servizio di trasporto pubblico a Belgrado e nel resto del Paese, mentre il coprifuoco sarà esteso dalle 17 alle 5 (prima era dalle 20 alle 3). La Republika Srpska (l'entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina), ha annunciato l'adozione di ulteriori restrizioni analoghe a quelle imposte in Serbia, il Paese vicino al quale è strettamente collegata. Milorad Dodik, il membro serbo della presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina, ha annunciato in vigore da ieri sera nell'entità il coprifuoco notturno dalle 20 alle 5.
Inoltre viene imposto l'obbligo di non uscire di casa per nessun motivo a tutti coloro che hanno più di 65 anni. Intanto il coronavirus diventa letale anche sul piano politico. In Kosovo la disputa tra il premier Albin Kurti e il Presidente Hashim Thaci sull'opportunità di imporre uno stato di emergenza in risposta all’epidemia ha portato al licenziamento del ministro degli Interni, Agim Veliu. Kurti ha dichiarato che Veliu è stato rimosso perché aveva «minato il lavoro del governo» con dichiarazioni contrarie alle posizioni ufficiali dell’esecutivo sulla necessità di dichiarare o meno lo stato di emergenza, oltre ad aver diffuso il panico tra la gente sull'epidemia.
La Macedonia del Nord si trova a fronteggiare come la Serbia il rientro in patria dei lavoratori all’estero di cui ben 70 mila lavorano nell’Italia settentrionale. Si tratta soprattutto di albanesi che vivono principalmente nella zonameridionale della Macedonia del Nord, zona che, in effetti, è la più colpita dal coronavirus. —
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