Dall’attentato a Frezza alla vendita di organi

Inchiesta partita da una telefonata nel carcere di Lubiana. Coinvolti informatori e agenti dei servizi

di Claudio Ernè

Un verminaio in cui hanno strisciato e strisciano ancora, trafficanti d’armi un tempo impegnati nell’introdurre clandestinamente in Italia migliaia di disgraziati provenienti dal Terzo Mondo; doppiogiochisti, informatori, sedicenti agenti dei “Servizi segreti sloveni”, ricattatori, assassini, gestori di locali nottuni di fama equivoca e potenziali killer.

È questo il mondo in cui si sono mossi per mesi gli investigatori del “Gico” della Guardia di Finanza diretti dal pm Federico Frezza. Determinanti per l’esito dell’inchiesta, i cui dettagli sono stati resi noti ieri, le intercettazioni telefoniche e la collaborazione con le autorità della Slovenia. Inquietanti le “verità” che in questa indagine hanno trovato conferma. Si parte da lontano, dal carcere di Lubiana dov’è rinchiuso nel 2002 Josip Loncaric, fino a qualche anno prima, boss dei boss dell’immigrazione clandestina. Nella stessa cella era rinchiuso Zvonimir Vojska, padre di Iztok, uno degli arrestati in questa inchiesta. Il padre è buon amico di Marino Paoletti, ai cui polsi sono scattate le manette pochi giorni fa ma che ha già ottenuto la libertà. Paoletti è stato gestore del locale notturno più noto di Trieste, il “Mexico”; ha avuto rapporti stretti con la polizia, ma è stato anche intercettato ripetutamente.

Nel febbraio del 2002 al suo telefono, ascoltato dalla Procura, arriva una telefonata da Lubiana. All’apparecchio c’è Zvonimir Vojska che dice di parlare a nome di Josip Loncaric. «Conosci Frezza... Sono qui con Josip Loncaric. Frezza l’ha nel mirino, so chi potrebbe farlo...» parole chiarissime per gli inquirenti. Provengono dal carcere dove un agente di custodia ha probabilmente introdotto un cellulare. Paoletti finge si offrirsi per attentare alal vita del magistrato, ma poco dopo viene interrogato in Procura e prima di essere messo alla strette afferma di fronte allo stesso Frezza: «è vero, Loncaric vorrebbe ucciderlo, pensavo di venirglielo a dire».

Seguendo le sue istruzioni viene trovato, occultato a Divaccia, un fucile d’assalto kalashnikov. Frezza per 10 mesi viene protetto da una scorta, spesso indossa il giubbotto antiproiettile. Anche quando si reca in Slovenia per le sue indagini in collaborazione con i magistrati della Procura di Lubiana, viene protetto da agenti di polizia di quello Stato: per gli spostamenti gli viene messa a disposizione una BMW 740 blindata.

Ma non basta. Per comprendere appieno la portata di questa inchiesta è necessario capire fino in fondo chi è Zvonimir Vojska, padre di Iztok. È in carcere dove sconta una condanna per omicidio: ha annegato con le proprie mani, secondo l’accusa, un uomo che non si era piegato al suo ricatto. Lo ha colpito e lo ha immerso nella Sava finchè non ha più respirato.

Vojska nel 1999 aveva già messo in allarme le polizie e le Procure di mezza Europa. Era stata intercettata a Trieste una sua telefonata, in cui accennava a prelievi di organi da effettuare sugli immigrati clandestini. Gli organi sarebbero stati poi messi sul mercato a prezzi pagabili solo da supericchi. L’allora procuratore capo di Trieste Nicola Maria Pace al vertice della Proruca distrettauale antimafia, oggi a Brescia, aveva avviato un’inchiesta a tutto campo. Ne aveva parlato con altri magistrati, aveva raccolto soffiate. Erano emersi dettagli inquietanti che confermavano il traffico di organi ma che non sarebbero mai stati sufficienti per concludere l’inchiesta con un rinvio a giudizio.

Le intercettazioni telefoniche e ambientali, come dicevamo si sono rivelate terminati per l’indagine appena conclusa. Edy Palcic, originario di Isola d’Istria ed arrestato dai finanzieri del colonnello Nicola Sibilia dopo essere stato attirato in Italia, aveva parlato proprio con Paloletti. «Armi, roba pesante, kalasnikov, 34 pezzi. Se li vieni qui a prendere ti do anche a 900... munizioni».

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