De Henriquez, un tesoro che attende il suo museo

Quel povero geniale matto che fu Diego de Henriquez potrebbe morire una seconda volta nella bara che si era scelto per letto, bruciando nel misterioso incendio che gli tolse la vita il 2 maggio 1974. Per la singolare, eroica e e ossessiva passione di distogliere il mondo dalla guerra collezionandone gli strumenti di distruzione aveva speso l’esistenza, si era licenziato e indebitato, aveva mosso mari e monti per trasformare l’ammasso di carri armati, cannoni, obici, camion, mitragliatori e autoblindo, foto, documenti, armi della prima e seconda guerra mondiale (molti trasportati da lui stesso), in un museo. Morto da quasi 40 anni, si è risparmiato almeno di vedere quel patrimonio valutato 60 milioni di lire alla fine degli anni Sessanta ancora morto e sepolto tal quale lui stesso.
Da anni la Regione ha stanziato oltre 7 milioni di euro per il restauro della caserma Duca delle Puglie di via Cumano, dove sono conservati i mezzi pesanti e attualmente, nella Casa del capitano, anche i 14 mila pezzi di piccola dimensione, 12 mila volumi, 25 mila foto, nonché i suoi stessi preziosi diari, quasi 300 quaderni scritti a mano, ormai consultabili. L’intenzione dunque c’è. Ma la gara per il restauro, primo lotto da 1,7 milioni, è partita nell’agosto del 2010, con promessa di inaugurare tutto quanto nell’arco di un anno. Nel maggio 2011 furono promessi cantieri “per settembre”. In luglio, “fra due mesi”. In agosto si scoprì che le procedure andavano approfondite per altri quattro o più mesi e comunque si prometteva il museo allestito per l’anniversario della prima guerra mondiale nel 2014. In questi giorni c’è solo il cartello di inizio lavori mentre è cominciato il complesso trasloco delle enormi macchine belliche, dall’orribile ma indubbio fascino, in uno solo degli hangar per consentire i lavori negli altri.
Il sindaco Cosolini l’altro giorno ha fatto un sopralluogo: «Un altro importante patrimonio rimasto sotto chiave - ha detto -, a chi vuol dare i voti a me e alla mia giunta donerò la cipria per coprire l’eventuale abbondante rossore di chi avesse un sussulto di onestà intellettuale».
La caserma dismessa è un desolato luogo vuoto, e il vuoto (in cui naviga anche il pezzo restaurato della caserma col Museo di storia naturale) è anche attorno, via Cumano è a fondo cieco, è l’unica via di Trieste dove si trova felicemente parcheggio. Il muro di cinta in un punto sta crollando, ma i grandi hangar conservano ancora qualche scritta interna sui muri (per esempio l’attualissimo monito “La benzina vale oro”). Il complesso è ancora di proprietà demaniale, tanto che il Comune paga oltre 100 mila euro ogni anno di affitto allo Stato, mentre è andata a monte, assieme al Piano regolatore di Dipiazza, la formula dello scambio urbanistico: a fronte di molte proprietà statali rese residenziali e dunque lucrative (compresa la caserma di Banne), via Cumano in uso gratuito.
De Henriquez era riuscito a consegnare i suoi beni a un consorzio di enti locali, aveva avuto promesse dal governo, promesse da Trieste per la costruzione di capannoni a Trebiciano, aveva trascinato carri armati e obici lunghi cento metri attraverso l’Italia e poi a villa Basevi in via Besenghi, a San Vito, anche usando un magazzino in via San Maurizio, là dove aveva finito per dormire assieme alle sue collezioni, ormai snervatissimo e solo, e dov’è morto bruciato (non senza misteri, successive inchieste, non senza torbidi dubbi mai risolti).
Ma comunque resta un fatto: come tanti altri patrimoni triestini, questo non ha eguali in Italia, e non ha un posto decente, se fosse allestito e visitabile, con quell’intitolazione oggi perfino modaiola ancorché autentica, «Museo della guerra per la pace», avrebbe folle di curiosi attorno. Invece il più bravo è rimasto sempre lui, il collezionista dell’impossibile: avendo chiaro il proprio scopo, riuscì a portar via mitraglie e perfino casacche a tedeschi, jugoslavi, italiani, neozelandesi, americani, intrufolandosi come amico di tutti fra nemici feroci, offrendosi come mediatore di accordi “mondiali”, rastrellatore sfrenato e sfacciato. Lavori iniziati. Ce la faremo stavolta?
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