Delitto in seminario, don Piccoli rinviato a giudizio

Questo il verdetto del giudice per l'udienza preliminare Giorgio Nicoli al termine dell'udienza che si è svolta  al Tribunale
Il sacerdote ucciso, don Giuseppe Rocco
Il sacerdote ucciso, don Giuseppe Rocco
Il sacerdote Paolo Piccoli è stato rinviato a giudizio della corte d'assise per rispondere di omicidio volontario di don Giuseppe Rocco il prossimo 30 giugno. Lo ha deciso oggi, 28 febbraio 2017, il giudice dell'udienza preliminare, Giorgio Nicoli, che ha respinto alcune eccezioni della difesa inerenti l'esame del DNA su tracce di sangue sul letto della vittima, e che appartengono al collega Paolo Piccoli.  
 
Omicidio a Trieste, prete strangolato
La Casa del Clero di via Besenghi, dov'è avvenuto il delitto
 
Il religioso 92enne era stato trovato morto nella sua stanza, strangolato. Piccoli, nativo di Verona, ordinato sacerdote all'Aquila, è entrato nell'inchiesta inizialmente come testimone, essendo stato vicino di stanza dell'anziano prete e colui che gli officiò l'estrema unzione. A chiedere il rinvio a giudizio era stato il Pm Matteo Tripani per omicidio.
 
 
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La pista investigativa più accreditata, e confermata dalla decisione del Gup odierna, prefigura dunque che a uccidere l’anziano prelato possa essere stato niente meno che un “collega” del potere spirituale, uno dei pochi presenti quella notte nella Casa del Clero di via Besenghi. Un prete più attempato ammazzato - forse - da un prete più giovane. Dal suo vicino di stanza, insomma.

La prova regina: il Dna. La serie di piccole macchie di sangue - trovate sotto il corpo di don Rocco riverso senza vita sul suo letto - appartengono senza ombra di dubbio al profilo genetico di don Piccoli, come hanno attestato le analisi scientifiche dei Ris di Parma, che una volta accertato che quel sangue non era della vittima hanno isolato un non ristretto elenco di Dna, soprattutto attraverso cosiddetti “tamponi” volontari, ovvero campioni di saliva resi dalle persone convocate dagli inquirenti.

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Monsignor Giuseppe Rocco

Il presunto assassino, in occasione di una delle deposizioni che l’hanno coinvolto, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta delle piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di don Rocco perché fu proprio lui, l’accusato, a impartirne la benedizione nel momento in cui venne trovato morto. Una spiegazione che non viene ritenuta pienamente credibile in sede investigativa anche perché quelle macchioline sono state rinvenute appunto al di sotto del cadavere, in determinati punti di difficile accessibilità in occasione di un’estrema unzione, e non soltanto al di sopra o ai suoi lati.

La scomparsa dei simulacri. La prova del Dna è considerata dagli inquirenti la più importante, ma non l’unica. Al di là del fatto che le ricostruzioni investigative avrebbero fatto venire a galla comportamenti da parte di don Piccoli totalmente differenti rispetto alle sue abitudini in prossimità del delitto del 25 aprile 2014, l’inchiesta non trascura infatti che, nei giorni immediatamente prececenti alla morte di don Rocco, dalla stanza di quest’ultimo sarebbero spariti alcuni oggetti sacri o per lo meno di valore simbolico riconducibili alla nostra religione: una Madonna, un veliero e un cavallo. Simulacri di cui don Rocco avrebbe denunciato in ambito ecclesiale la scomparsa, inserendo proprio don Piccoli - che ha peraltro nel suo curriculum precedenti d’inchiesta a proprio carico a L’Aquila per furto di oggetti sacri ed ha la nomea del cleptomane - tra quelli che se ne sarebbero potuti impossessarsi, tanto che a ridosso del 25 aprile lo stesso presunto killer avrebbe ricevuto dalla direzione del Seminario una lettera di richiamo. Le tre statuette - Madonna, veliero e cavallo - sarebbero guarda caso ricomparse a stretto giro dopo l’omicidio nella stanza di don Rocco. Una coincidenza che gli investigatori non hanno, evidentemente, trascurato.

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