Due settimane per salvare la Vitrani

Scade il “concordato in bianco”. Voci di trattative serrate per l’affitto di un ramo d’azienda a una multinazionale
Uno striscione dei dipedenti della Vitrani
Uno striscione dei dipedenti della Vitrani

Un paio di settimana per salvare la Vitrani, l’azienda che ha sede nella zona industriale delle Noghere e che opera da oltre mezzo secolo nel comparto degli arredamenti navali e civili (soprattutto alberghieri). Entro il 24 aprile si dovrà trovare una soluzione per evitare che l’azienda, sia pure con un pedigree prestigioso, scivoli verso la chiusura.

Bocche cucite in casa Vitrani, dove la consegna è quella del silenzio. Discrezione suggerita, secondo voci drenate in ambito imprenditoriale, da serrate trattative in corso per tutelare il buon know-how accumulato dal 1960. L’ipotesi, che s’affaccia, sembra essere quella dell’affitto di un ramo d’azienda a una multinazionale nordamericana: l’attività in questione riguarderebbe l’arredo navale. Un punto di forza tradizionale dell’impresa, che ha allestito grandi yacht - lavorando per Shogun, Leopard, Lurssen -, e unità da crociera - collaborando con Disney, P&O, Carnival. Buone, inoltre, le relazioni con il mondo della costruzione cruise, da Fincantieri a Meyer Werft, senza aver dimenticato Stx.

Dopo una fiammata d’attenzione tra ottobre e novembre dello scorso anno, sulle prospettive della Vitrani è progressivamente calato il sipario. L’azienda era balzata all’onore delle cronache, avendo convocato un incontro con gli organi d’informazione venerdì 24 ottobre: in quella circostanza Barbara Vitrani, che condivide con la sorella Alessandra la guida dell’impresa, aveva sottolineato la paradossale situazione di uno stabilimento con una buona dotazione di commesse (in allora 10 milioni), commesse che però non potevano essere realizzate per mancanza di liquidità. Le banche finanziatrici, infatti, a fronte di crediti di ardua esigibilità vantati dalla Vitrani e assommanti a circa 4 milioni, avevano deciso di chiudere il rubinetto erogatore. Nell’impossibilità di acquistare persino la materia prima, gli ordini restavano sulla carta.

I dipendenti offrono il loro Tfr per salvare la Vitrani
La protesta dei dipendenti Vitrani che offrono il loro Tfr per ottenere lavoro

Della vicenda si era occupata anche il governatore Debora Serracchiani, che il 5 novembre 2014 aveva visitato la fabbrica muggesana, impegnandosi a trovare una soluzione per non disperdere il patrimonio di competenze e professionalità maturato dalla Vitrani.

Altro fatto rilevante era stato il prestito del Tfr da parte dei 28 dipendenti: circa 400 mila euro come contributo a sbloccare l’impasse finanziario dell’azienda, che a fine anno necessitava di 1,5 milioni “freschi” per uscire dall’emergenza. Un gesto importante da parte dei lavoratori, che da tre anni vanno avanti con contratti di solidarietà. E che seguono con apprensione gli sviluppi di queste giornate, paventando, con l’affitto del ramo d’attività, ulteriori difficoltà di carattere occupazionale.

La formula del “concordato in bianco”, l’istituto di recente conio previsto dalla legge 134/2012, volendo favorire la continuità aziendale delle imprese in crisi, ha consentito alla Vitrani, attraverso il cosiddetto “automatic stay”, di navigare fino alla fine di aprile: adesso però i tempi stringono.

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