«Falde acquifere in grave pericolo sul Carso»

Franco Gherlizza: contaminate anche da eternit, vernici, vari agenti chimici e medicinali»

E’ difficile quantificare lo stato d’inquinamento del patrimonio sotterraneo triestino visto la presenza quasi capillare di grotte lungo l’Altopiano Carsico. Tuttavia un bilancio può essere tentato grazie al lavoro svolto dal Club Alpinistico Triestino, un dossier sulle criticità riscontrate negli ipogei locali appena presentato lo scorso dicembre alla Provincia e alla Regione.

Un documento articolato e ricco di particolari dal quale si evince la gravissima situazione in cui versano oltre 370 grotte triestine, con i conseguenti gravi pericoli per le falde acquifere. «Stiamo monitorando il sottosuolo provinciale dal 1991, e documentiamo con dati, foto e video lo stato in cui versano le nostre cavità – spiega Franco Gherlizza, responsabile assieme all’ex direttore dei Civici Musei scientifici Sergio Dolce dell’attività didattica del Club Alpinistico triestino. Al momento attuale abbiamo individuato 374 grotte che risultano inquinate a livelli diversi. Dodici di queste sono caratterizzate da un alto grado di degrado, e risultano contaminate con olii e carburanti esausti, dall’Eternit e da vernici e altri agenti chimici».

Tra queste il responsabile cita quel “Pozzo dei colombi” di Basovizza che ospita i residui dell’attentato di “Settembre Nero” del 1972 alle cisterne della Siot, il pozzo del Cane di Gropada, la caverna 17 VG di Trebiciano con il suo sinistro laghetto composto da olii e vernici. Altri spechi gravemente compromessi si trovano ancora nei pressi di Gropada e Basovizza e pure nelle cava Boschetti di Santa Croce; nell’abisso di Precenicco, ancora, sono stati scaricati negli anni Settanta medicinali scaduti. Tutti disastri ecologici sottostimati i cui effetti nefasti potrebbero far capolino nella catena alimentare e essere assimilati dalle generazioni future. Nel dossier del Club Alpinistico Triestino si fa poi menzione di ben 84 grotte tipicizzate dalla presenza di rifiuti di tutti i tipi: carcasse arrugginite di auto e moto, pneumatici, elettrodomestici e mobilia, inerti e infissi, reti e recinzioni. «Nell’ultima che abbiamo visitato e pulito per un totale di 4 metri cubi di immondizia – afferma Gherlizza – abbiamo trovato addirittura una vecchia canoa». Un altro capitolo del dossier informa come 260 ipogei risultino ostruiti per diversi motivi, causati principalmente da interventi antropici: costruzione di strade, gallerie e altre infrastrutture. Vi sono infine tante grotte che risultano distrutte, spesso a causa di fronti di cava che avanzano.

Accanto al dossier, il Club Alpinistico Triestino ha iniziato a produrre delle schede sulle grotte a rischio ambientale, riportando i dati tecnici dell’ipogeo, le criticità riscontrate, foto e panoramica dell’ingresso, il rilievo dello speco con i suoi punti problematici. Ove possibile, i redattori segnalano i metri cubi di immondizia rintracciati e prospettano un’ipotesi e la tempistica per la bonifica del sito. Sinora è stato completato il profilo di 30 grotte; a lavoro concluso, verranno trasmesse a tutti gli enti locali, alla Regione e al Catasto regionale delle grotte del Friuli Venezia Giulia.

«In sintesi ci troviamo di fronte a una situazione decisamente allarmante – sostiene Gherlizza. Nel nostro lavoro di indagine riscontriamo talvolta delle esagerazioni nella descrizione dell’inquinamento di alcuni siti. Purtroppo ci imbattiamo più spesso nella sottostima delle condizioni delle grotte. Un esempio è la grotta Mattioli di Gropada, i cui interni sono ricolmi di carcasse di vetture e motorini. Rischiamo tutti di pagare un alto prezzo per questi diffusi episodi di vandalismo. Inquinare gli abissi significa contaminare inevitabilmente i corsi d’acqua sotterranei»

Maurizio Lozei

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