Un museo dentro l’ex ambulatorio: la collezione del dottor Massa a Gorizia
Il medico, in pensione dal 2020, è lieto di far ammirare la raccolta: «Il futuro? Mi piacerebbe che quanto ho messo assieme potesse venire conservato»

Difficilmente i pazienti di Ferruccio Massa avrebbero pensato che un giorno gli spazi della sala d’attesa e quelli dove il loro medico di famiglia li visitava avrebbero ospitato un vero e proprio museo, frutto di una passione viscerale portata avanti da oltre quarant’anni: dall’acquisto di un testo di anatomia del XIX secolo, comprato lungo la Senna, quando Massa era ancora studente.
Da allora, i pezzi sono diventati un migliaio: 7-800, formano la collezione che il medico, in pensione dal 2020, è ben lieto di far ammirare, su richiesta e lo si può contattare dal sito collezionemassa.it. Gli altri 200 li conserva nel proprio appartamento, al piano superiore. Proprio così, per immergersi nel proprio mondo gli basta fare pochi scalini.
La raccolta, si compone di cinque grandi aree che, curiosamente, iniziano con le cinque lettere del suo cognome. Ecco che c’è la sezione Medicina con una sottosezione dedicata ad Augusto Murri, considerato il più grande medico italiano di sempre. Quindi, c’è la sezione Arte, che si concentra dall’800 al primo ’900, mentre i contemporanei, diciamolo pure, non sono al centro dei suoi interessi, a differenza dei ritratti della prima metà del XIX secolo, forse l’ultimo dei suoi amori.
Poi, c’è la sezione Storia con notevole attenzione per Francesco Baracca e Gabriele D’Annunzio, di cui si possono ammirare anche una decina di autografi. E c’è la sezione Stampe, intesa come grafica e libri antichi: il suo primo obiettivo, in fondo, era di creare una biblioteca di testi greci e latini, ma poi gli orizzonti si sono ampliati. E di molto. Infine, c’è la sezione “Antiquariato”, dove Massa si concede la maggior libertà, acquistando pezzi senza un rigido criterio, ispirato soltanto dalla loro bellezza.

Di sicuro, sono molti i tratti che di lui colpiscono: lo si può definire un “signore”, per il garbo d’altri tempi con cui accoglie gli ospiti. È un modello di discrezione, ma ama comunicare ciò che lo rende felice. «Davvero, non saprei cosa desiderare di più – racconta –. E ora, che non ho più lo studio medico, al collezionismo posso dedicarmi anima e corpo».
Ecco che, per esempio, più volte è stato a Vienna o a Parigi in giornata e solo chi arde per una passione altrettanto totalizzante lo potrebbe comprendere. «“Conosci te stesso”, suggerisce qualcuno e io ho tentato di applicare questa indicazione: non ho moglie né figli, ma i pezzi della mia collezione sono come miei familiari», dice. Un domani? «Non lo so: un tempo me ne preoccupavo. Ora, francamente, me ne importa molto di meno. Mi piacerebbe unicamente che quanto ho messo assieme potesse venire conservato». Lui, peraltro, già lo sta catalogando con un ordine encomiabile.
Intanto, alcuni suoi pezzi michelstaedteriani si trovano alla Galleria comunale d’arte contemporanea di Monfalcone, per la mostra “L’anima ignuda nell’isola dei beati” e lui è stato felice di prestarli su domanda della curatrice, Isabella Reale. Colpisce, poi, il fatto che mai ha venduto un’opera, mai l’ha acquisita a fini speculativi, altro elemento che denota la sua nobiltà d’animo, come il suo mettersi a disposizione di chi voglia ammirare ciò che per una vita ha collezionato per raccontare dell’ultima incisione di Rembrandt, di alcuni Zangrando, di molti Craglietto e di tante altre mirabilie.
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