Francovig: sottovalutato il rischio amianto

Apprezza e giudica importanti i lavori di Enrico Bullian sul drammatico problema dell’amianto (la recente tesi in Scienze umanistiche e il precedente libro), perchè permettono di ampliare le conoscenze sulla questione. Studi che però vanno utilizzati per migliorare le condizioni di lavoro (non solo nel cantiere navale), la situazione degli esposti e di chi si è ammalato.
A intervenire in questi termini è Luigino Francovig, delegato e coordinatore per il consiglio di fabbrica del cantiere navale negli anni ’80 e ’90. «È vero - dice, concordando con Bullian - che negli anni ’70 i lavoratori non sapevano della pericolosità dell’amianto; oggi la si conosce bene però non si fa nulla. Anche se nelle fabbriche l’amianto è stato rimosso, rimane nel territorio: una situazione che mette in pericolo tutti».
A complicare il quadro, secondo Francovig, la mancanza di attenzione per il mondo produttivo, mentre trent’anni fa i partiti erano organizzati e seguivano con impegno le vicende delle industrie. «Il sindacato - prosegue - una volta era il sindacato dei lavoratori. C’erano riunioni continue sull’ambiente, sulla sicurezza, alle quali partecipavano i delegati che lavoravano in cantiere. Il limite del sindacato - rileva - è che, una volta che i lavoratori erano andati in pensione, la battaglia sull’ambiente e l’amianto non è proseguita sul territorio».
A dimostrazione di ciò, Francovig cita il documento prodotto dal sindacato unitario (Cgil, Cisl e Uil) alla quarta Conferenza regionale sull’amianto nel novembre 2010. «Quel documento, importante, è rimasto lettera morta».
L’ex sindacalista ne ha anche per i politici: «Il problema è emerso da anni nella sua gravità - sottolinea - ma i politici non hanno fatto nulla. Nei programmi per le ultime elezioni regionali nessun partito ha inserito il tema dell’ambiente e della sicurezza».
Insomma, nonostante ci siano tutti i dati sulla pericolosità dell’amianto e la consapevolezza del problema sia diffusa, il quadro delle azioni concrete oggi è lo stesso di 40 anni fa: non si fa nulla. «Se si hanno le conoscenze sugli effetti dell’amianto e i poteri per agire - come la Regione, altre istituzioni, i partiti e i sindacati - ma non si fa niente, allora si è corresponsabili di quanto avvenuto e di quanto avverrà», ammonisce Francovig. Che aggiunge : «Bisogna fare in modo che il problema diventi una priorità regionale».
Nel marzo scorso il governo ha prodotto il piano nazionale per l’amianto. Un ponderoso documento in cui si dice tra l’altro che il piano stesso dev’essere completato a livello regionale. «Invece proprio qui - rimarca sempre Francovig - dove abbiamo il numero più alto di morti, non si è fatto nulla. Nessun piano, nessun progetto. Non esiste una mappa sulla presenza dell’amianto in regione, non ci sono tempi certi per la sua eliminazione. L’unica discarica autorizzata in regione è a Porcia, ma è quasi piena. Il prossimo anno dove si porterà l’amianto?».
Altro grosso problema, quello sanitario. Il registro regionale degli esposti conta circa 10mila persone, ma si stima che altre 6mila abbiano paura di iscriversi, per timore di scoprire di essere ammalate. «Va rinforzato il servizio di Medicina del lavoro - conclude Francovig - che invece a Monfalcone si sta smantellando causa il taglio dei finanziamenti. Il previsto centro dell’Ass non basta; serve anche l’assistenza domiciliare dopo il ricovero ospedaliero. E ai malati vanno garantiti i medicinali, qualunque sia il loro costo».
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