Fucili in porto a Trieste, la Procura indaga sulla destinazione

Maxisequestro nelo scalo, fra le piste seguite dagli investigatori quella del circuito parallelo illegale
Alcuni degli 800 fucili sequestrati a Trieste
Alcuni degli 800 fucili sequestrati a Trieste

TRIESTE. Sui documenti di esportazione dalla Turchia c’era scritto Belgio ma chissà quale effettivamente sarebbe dovuta essere la vera destinazione del carico d’armi (781 fucili a pompa con il marchio originale statunitense Winchester, modello Sxp, di cui 715 da 12-51 centimetri e 66 da 12-47) sequestrato dai finanzieri e dai doganieri a Trieste: il pass che mancava - mai rilasciato dalla Questura - che ha innescato il sequestro è infatti proprio quello della tracciabilità. Una volta uscito dal porto, il Tir con le armi avrebbe potuto teoricamente dirigersi ovunque. Dice il colonnello Gabriele Baron, comandante del primo gruppo della Guardia di Finanza: «Questa autorizzazione è necessaria per il trasporto in Italia. Quindi se fossero entrate in Italia non si sarebbe saputo dove si trovavano e dove erano dirette queste armi».

Sequestro d'armi a Trieste, il video della Gdf

Ed è in questa direzione che puntano le indagini coordinate dal pm Federico Frezza, che ha aperto un fascicolo. Non a caso il ministro Angelino Alfano pur ribadendo che si è trattato di un sequestro amministrativo fin da subito ha precisato che «nei luoghi istituzionalmente preposti, si stanno facendo tutti gli approfondimenti».

Infatti è difficilmente ipotizzabile, secondo gli investigatori, che una società internazionale del livello della Winchester possa attivare la spedizione in Europa di un carico di fucili senza avere ottenuto regolarmente tutti i documenti necessari. Per questo motivo gli investigatori ritengono che quelle armi - apparentemente regolari - facciano parte di un circuito parallelo. Un circuito che potrebbe appunto essere illegale.

In questo senso viene ritenuta attendibile l’ipotesi che la “dimenticanza” del certificato di pubblica sicurezza sia stata, in un certo senso, voluta. E cioè che i trafficanti abbiano scelto di effettuare una spedizione regolare ma con una “dimenticanza amministrativa” che poteva in linea teorica anche sfuggire.

Sequestrati nel porto di Trieste 800 fucili diretti dalla Turchia al Belgio FOTO e VIDEO
Un militare della Guardia di Finanza mostra alcune delle armi sequestrate a Trieste

In fin dei conti trasportare, per esempio nascosto in un doppiofondo, quelle armi dalla Turchia in Europa non è certo semplice. Sicuramente è rischioso. Così come è stato fatto, il rischio appunto è stato in buona parte eliminato. Anche se non sfugge a nessuno che i fucili sequestrati non sono tecnicamente armi da guerra. Secondo la legge italiana si tratta di fucili da caccia, caricabili a pallettoni o a pallini di gomma. Insomma armi richieste, nei normali circuiti commerciali, anche per la difesa abitativa perché hanno un’efficacia fino alla distanza di 30 metri.

Qualche anno fa si era verificato in porto un fatto analogo. Era stato sequestrato un carico di 1800 pistole - che potevano essere adattate a un lanciarazzi - di produzione turca e ufficialmente destinate a un importatore spagnolo. Le armi, di vario calibro, tutte dotate di una particolare filettatura che serve appunto per inserire un sistema lancia razzi, erano state trovate all’interno del carico di un autoarticolato che era stato sbarcato da un traghetto proveniente da Istanbul. Anche in quel caso mancava un’autorizzazione di tipo amministrativo la cui mancanza tuttavia comporta l’apertura di un procedimento penale. Esattamente quello che è successo con il carico di fucili sequestrato pochi giorni fa.

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