Giallo sulle botte a Polentarutti «Ramon non spacciava droga»

Ramon Polentarutti «non spacciava, né aveva problemi di pagamenti, debiti per questioni di droga». A sviscerare i possibili moventi utili a spiegare la morte del 40enne monfalconese, scomparso il 14 aprile 2011, parti delle sue ossa rinvenute nel canale Valentinis il 2 novembre 2012, la realtà degli stupefacenti ha consegnato piuttosto circostanze di consumo. Almeno stando a quanto hanno affermato i testi chiamati deporre durante l’ultima udienza davanti alla Corte d’Assise di Trieste, presieduta dal giudice Dainotti, a latere Casavecchia e i giudici popolari, nell’ambito del processo per omicidio volontario, distruzione e soppressione di cadavera a carico di Roberto Garimberti.
«Nessuno spaccio», ha sostenuto Cristian Caldarulo. Lo ha ribadito anche la sua attuale convivente, Martina Lodo: «Se avevo bisogno di droga, non andavo certo da Ramon» rispondendo alle domande postele in aula. Daniele Baldan, altro teste della pubblica accusa, ha parlato di «consumo di spinelli». Aveva visto Ramon l’8 aprile 2011, prima che scomparisse da Monfalcone. Allora voleva recuperare i propri abiti dall’appartamento di via Carducci poiché era stato allontanato da Garimberti, così come la compagna Francesca Costantino che invece era tornata dalla madre, assieme alla loro bambina. Quell’8 aprile cercava un posto dove trascorrere la notte. Aveva chiesto le chiavi di un alloggio in centro alla proprietaria che conosceva e che anche in altre occasioni gli aveva permesso di utilizzarlo. Erano passate le 22 quando Baldan aveva salutato Ramon, in un bar di via Sant’Ambrogio, lasciandolo con l’amica dell’appartamento. Sarebbe stata questa l’ultima traccia del monfalconese. In mattinata al bar Tartaruga gestito da cinesi era scoppiata una lite finita a botte, nella quale Ramon era rimasto coinvolto. A chiedere a Baldan se l’amico gli avesse confidato di minacce subite o di situazioni di pericolo, ha risposto: «A me non l’aveva mai detto».
Ciò che sarebbe stato l’ultimo saluto a Ramon era avvenuto dunque nella tarda serata dell’8 aprile, in via Sant’Ambrogio. Caldarulo, ha ricordato in aula, l’aveva visto nei giorni successivi, tra il 10 e l’11 aprile. Allora in regime di arresti domiciliari, era caduto nella sua abitazione e, autorizzato, s’era fatto accompagnare al San Polo dal cugino. Durante il tragitto in auto Caldarulo aveva voluto allungare, e deviare, il percorso raggiungendo il bar Tartaruga dove sapeva di trovare quella che a quel tempo era la sua ragazza, Chiara Verzegnassi. «Volevo salutarla», ha spiegato davanti alla Corte d’Assise aggiungendo che nel gruppo c’era anche Ramon. Salvo poi ritrattare con un «non ricordo», aggiungendo «so solo che mi ero fermato per la mia ragazza». Una deviazione pagata con l’arresto, avvenuto proprio una volta giunto al San Polo.
La confusione sulle date è emersa quando gli è stato chiesto di ricordare l’ultima volta che aveva visto Ramon: «È stato quando l’avevo accompagnato all’ospedale per andare a trovare il padre che stava male». Era un mese prima rispetto alla sparizione. A Carnevale, il 18 febbraio 2011, Ramon era stato picchiato. Il teste ha spiegato: «Aveva detto che non aveva capito niente di quanto gli era accaduto, non sapeva chi fossero gli aggressori, diceva solo che erano del Sud Italia». Era poi girata una voce sul conto di Caldarulo: “Adesso toccherà il suo turno...”, ma in aula lui ha semplicemente osservato: «L’avevo sentita quella voce, non ne avevo dato importanza». Era lui dunque a fornire la droga. Di Ramon ha riferito: «Capitava che gli dessi 10 euro per comperare la marijuana». Garimberti, invece, aveva acquistato cocaina. Era 5 anni prima della scomparsa del monfalconese, quando aveva disponibilità economica: «Aveva un Suv e carte da 500 euro. Veniva da solo a comperarla», ha affermato Caldarulo. —
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