Gli spettri della Grande guerra, a piedi

Giovedì a Monfalcone e venerd' a Trieste si presenta il libro di Nicolò Giraldi
Nicolò Giraldi
Nicolò Giraldi

TRIESTE Se la guardi con gli occhi, la guerra diventa un incubo. Se la misuri con i piedi, fa rivivere un mare di ricordi, di storie, di voci che sembravano ormai destinate al silenzio. E, strada facendo, scopri che quell’inutile massacro che è stata la Grande guerra, oggi lo si può raccontare soltanto così. Camminando tra i campi intrisi di sangue, passando tra le trincee e il fronte degli scontri, scoprendo che in giro per l’Europa si può ancora saltare in aria su una granata rimasta inesplosa da allora. Che c’è un prato, a Verdun, tanto intriso di arsenico da rimanere privo d’erba, pelato come una patata messa a lessare.

E proprio così ha voluto raccontare la Grande guerra il giornalista triestino Nicolò Giraldi. Immaginando un viaggio che partisse da Londra, attraversasse l’Europa teatro di scontri sanguinosi e infiniti, per approdare a Trieste. La città più contesa nel corso di quel conflitto. Che nel 1914 era ancora incardinata nell’ormai esangue Impero austro-ungarico, e che nel 1918 si è risvegliata italiana.

Giraldi, dopo un lungo periodo di preparazione, è partito in un tiepido pomeriggio di maggio da Londra ed è arrivato a Trieste il 9 luglio dell’anno scorso. Di quel viaggio, raccontato passo passo sulle pagine de “Il Piccolo”, non ha dimenticato nemmeno un metro. E, piano piano, l’ha trasformato in un libro, “La Grande guerra a piedi”, pubblicato adesso dalle Edizioni Biblioteca dell’Immagine di Pordenone (pagg. 207, euro 14) con la prefazione di Paolo Rumiz. Oggi viene presentato a Monfalcone, alle 18.30 nella Galleria d’arte contemporanea di piazza Cavour, da Marco Mantini: domani, sempre alle 18.30, all’Antico Caffè e Libreria San Marco di Trieste da Luigi Nacci.

Non è partito solo perché ne aveva voglia e non sopportava più l’idea di star fermo, Nicolò Giraldi. No, lui doveva ricomporre dentro di sé la memoria del suo bisnonno. Nicolò Giraldi pure lui. Uno dei tanti triestini che avevano combattuto dalla “parte sbagliata”, con la divisa austroungarica addosso. Il fante spedito in Galizia, che sognava solo di tornare a casa dalla sua Maria. E che di quella Grande guerra, delle sottili strategie militare, dei precari equlibrii politici, non si curava.

Strada facendo, Giraldi ha trovato un mondo di storie da raccontare. Quella della gente che si raduna ogni sera prima del tramonto a Ypres, in Belgio, per ricordare tutti i caduti. Quella dei tanti cimiteri d’Europa, foreste di croci piantate per non dimenticare quei ragazzi troppo giovani, morti combattendo un nemico che non conoscevano nemmeno. Quella dei tanti, troppi soldati partiti lasciando a casa una ragazza che aspettava. Un giro nella Storia, insomma, fatto in memoria delle formiche umane mandate a morire nel tritacarne delle trincee.

Due mesi è durato il viaggio a piedi di Giraldi. Alla fine, ad aspettarlo a Trieste, ha trovato i fantasmi di suo nonno, di Maria. Dei tanti, anonimi fanti che ancora aspettano di essere ricordati in questi anni troppo lunghi di celebrazioni per la Grande guerra.

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