Idea del geniale conte Valentinis

La linea ferrata fu una delle intuizioni del podestà “padre” anche del canale 

I legionari di D’Annunzio partirono da Ronchi per Fiume il 12 settembre del 1919. Ronchi non era ancora dei Legionari, ma Ronchi di Monfalcone o Friulana per via della presenza della stazione Sud, detta Friulana in quanto si affacciava sulla linea per Cervignano. Otto chilometri più giù, verso il mare, il cantiere navale annaspava in una delle ricorrenti crisi di commesse. Che invece fu trovata: al posto delle navi si costruirono vagoni ferroviari. Già, ma come trasportarli fino ai binari più vicini? Venne ripescata un’idea di qualche anno prima, la costruzione di un raccordo ferroviario tra la stazione di Ronchi Inferiore e lo stabilimento di Panzano. Le pratiche per gli espropri erano state avviate nell’aprile del 1919. Un anno e mezzo dopo il raccordo era pronto. Lungo quei binari è passata la storia del cantiere navale del Cnt, del Crda, dell’Italcantieri e della Fincantieri. Sui carri trainati da fumanti locomotive ecco sfilare gigantesche lamiere, vagoni passeggeri con a bordo gli operai provenienti dalla Bassa e ancora montagne di legname da scaricare nella “foresta”, l’attuale parco lamiere con l’ingresso in viale Oscar Cosulich. Quasi un secolo dopo quei binari sono destinati a sparire, lasciando spazio a una pista ciclabile dove per ora pedalano solo le buone idee di fantasiosi progettisti. Ma il vecchio raccordo porta in dote un dono prezioso: la memoria di una città oggi solo immaginata. Già, l’immaginazione. Se gli amministratori pubblici di tutti i colori avessero più immaginazione...

Noi a Monfalcone abbiamo avuto un “immaginatore” eccellente, che è stato anche podestà austriaco e il padre del primo podestà italiano.

Si chiava Eugenio Valentinis, il conte Valentinis. Fu lui a volere il canale navigabile che oggi porta il suo nome, fu sua l’idea di costruire il raccordo ferroviario. Che diventò realtà una decina d’anni dopo la sua scomparsa. Eugenio Valentinis sta a Monfalcone come i Ritter a Gorizia o i Medici a Firenze. E tale fu la sua grandezza che ovviamente oggi non è ricordato se non per un busto bronzeo custodito nella sede del Mutuo Soccorso di Monfalcone che lo vide tra i cofondatori. Le sue spoglie sono sparite nel “trasloco” delle salme dal cimitero della Marcelliana a quello di via 24 Maggio. Sparite le ossa, sparita la monumentale tomba. Al contrario di Giovanni Bonavia, la cui lapide è posta al centro del cimitero centrale. Quel Bonavia che erroneamente è citato come primo sindaco di Monfalcone italiana, mentre il primo è stato Giuseppe Valentinis, figlio appunto di Eugenio.

Ma torniamo alla nostra vecchia e cara ferrovia Ronchi Sud-cantiere. «Un cancello arrugginito indica il punto in cui il raccordo interseca con la linea Venezia-Trieste. Il degrado e un’aggressiva vegetazione oltraggiano senza vergogna questo sito che ha rappresentato per decenni un approdo: la partenza o l’arrivo», scrivevamo più di un anno fa. Ora la situazione è peggiorata mentre poche centinaia di metri più in là l’invadenza del cemento l’ha fatta da padrona enfatizzando con l’altisonante nome di polo intermodale un semplice parcheggio con annessa fermata dei treni. Percorrere a piedi l’antico raccordo è come sfogliare la storia del novecento di Monfalcone, purché ci sia la disponibilità a immaginare più che a vedere. Sarebbe bello che sul sedime delle futura pista ciclabile fossero apposte delle targhette indicanti edifici, personaggi, luoghi di culto che oggi non ci sono più. Come l’eccentrica cripta del pirata Musmezzi, tomba che con il suo stile arabesco sembrava voler quasi oscurare l’antica chiesa di San Nicolò. Già, perché non chiamare il futuro tratto ciclopedonale come “pista del Pirata? ” . Immaginare, gente, immaginare.

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